«Siamo registi europei, americani, asiatici, africani, abbiamo percorsi diversi, cerchiamo di conservare sguardi pluralisti sulla società, difendiamo scelte estetiche precise e distinte ma abbiamo in comune lo stesso impegno: il rifiuto di ogni forma di censura e il rispetto assoluto della libertà creativa». Con queste parole inizia un lungo appello firmato da moltissimi registi, tra gli altri Joe Dante, i Dardenne, Costa-Gavras, Walter Hill, Cristian Mungiu, Mahamat Saleh Haroun, Volker Schloendorff, Mounia Meddour, in sostegno di Maimouna Doucouré, il cui film Mignonnes, uscito il 9 settembre negli Stati uniti su Netflix col titolo Cuties, è divenuto subito bersaglio della destra americana così come delle comunità islamiche ai cui violentissimi attacchi – con richiesta di ritiro dalla piattaforma e una campagna social contro Netflix che è costata alla multinazionale nove miliardi di perdita in borsa – si sono aggiunte minacce di morte contro la regista.

PER I CONSERVATORI la «colpa» del film è quella di offrire un’immagine «ipersessualizzata» delle giovani protagoniste spingendo addirittura verso la pedofilia. E tutto prima ancora che il film fosse programmato: è bastato il manifesto – insieme a qualche trailer – a scatenare la crociata compresa una petizione che ha raccolto oltre trecentomila firme di genitori, associazioni per il buon costume varie, abilmente utilizzata nella campagna elettorale trumpiana da figure come quella di Ted Cruz, ex candidato alle primarie repubblicane, che ha chiesto all’Fbi di intervenire per rimuovere il film.

Dall’altra parte invece si accusa Doucouré di ritrarre la comunità islamica in modo «caricaturale» e utilizzando stereotipi fastidiosi. Se Netflix non lo programmerà in Turchia – Erdogan ha posto il divieto, ovviamente, e gli interessi della piattaforma lì sono troppo alti – anche a Parigi però le cose non sono state semplici, sit-in di protesta davanti alle sale che programmavano il film (uscito in Francia in agosto) organizzati da associazioni quali Stop Porno.

MA COSA racconta Cuties? Premiato per la migliore regia allo scorso Sundance, ruota intorno a una ragazzina senegalese di undici anni divisa tra l’ambiente famigliare e l’intransigente educazione musulmana della madre e il desiderio di ballare in un gruppo di scatenate ragazzine compagne di scuola. Vestite con mini-abiti e lanciandosi in uno scatenato twerking (la scena più incriminata) come una qualsiasi adolescente che su Tik Tok (ma non è certo per questo che Trump lo oscura) cerca di imitare Ariana Grande le ragazzine sognano di partecipare a una gara di ballo che è un po’ il loro sogno di libertà. E con tutti gli affanni dell’età di «mezzo», quando non si è ancora «grandi» e si pretende di esserlo continuando a essere invece bambine.

MA SE LA LORO è solo l’ingenuità di vestiti un po’ cafoni e del lucido per le labbra appiccicoso, quella dei neo-crociati è solo malafede. Basta guardarsi intorno, osservare qualsiasi ragazzina pre-adolescente o adolescente, ma senza moralismi proprio come cerca di fare la regista interrogandosi su mode e nuove influenze, provando a capire. Il tempo attuale però non lo permette, si esigono soltanto giudizi e tutti ormai sono pronti a puntare il dito gridando allo scandalo – per invocare ovviamente la censura. Brutto, triste e molto pericoloso.