«Che cosa stiamo facendo, a che punto siamo noi con l’underground? Qual è il suo significato? Cercherò di rispondere, o di indicare dei significati del nostro lavoro, che sono del resto molto legati ad ognuno di noi…». Queste parole, pronunciate al Philadelphia College of Art nel giugno del 1966, sono di Jonas Mekas, purissima gemma dell’arte sotterranea, grande santo animatore e protettore del cinema sperimentale americano, suo vero patriarca, che nel 1960 riuscì a riunire, attorno al produttore Lewis Allen, 23 filmmakers indipendenti di diversa formazione e provenienza nel New American Cinema Group.
Ad avvicinarli il rifiuto del linguaggio e delle dinamiche commerciali hollywoodiane, che considerano, come riportato nella loro Prima Dichiarazione, «moralmente corrotto, esteticamente obsoleto, tematicamente superficiale, congenitamente noioso»; a tutto ciò vogliono contrapporre un contro-sistema culturale e produttivo attraverso il quale avviare un rinnovamento e ripensamento dell’arte cinematografica, così da poter realizzare film «aspri» e «scabrosi», «vivi», «color del sangue».

È Mekas, da sempre interessato a capire il nuovo artista invece di dirgli cosa fare, ad offrire ai «registi del sottosuolo» i loro primi sbocchi comunicativi, ad esempio attraverso le pagine della rivista «Film Culture», da lui fondata e diretta, che cominciò a popolarsi dei nomi e degli scritti di Brakhage, Markopoulos, Jack Smith, Ron Rice… Egli resta il motore primo, oltre che promotore, di un movimento i cui rami hanno prolificato in estensione; è lui che si è portato a spalle, in incessante esilio, da un posto all’altro (ospite di musei, gallerie d’arte, sale cinematografiche), quelle espressioni di un cinema altro che altrimenti sarebbe rimasto invisibile ai più.

Come successe a Torino nel 1967, un anno dopo il discorso pronunciato al Philadelphia College of Art, dove Mekas ideò la rassegna New American Cinema Group Exposition, che descrisse nei termini di un «seminario dello sguardo» grazie al quale il pubblico avrebbe finalmente potuto trasformare il proprio occhio e imparare a vedere con vista rinnovata. Nove giorni, dal 13 al 21 maggio, durante i quali vennero proiettati 63 film, raggruppati in 13 programmi, accompagnati da discussioni coordinate dallo stesso Mekas e Fernanda Pivano, che ricorderà l’esperienza come «l’avvenimento più bruciante» di quel periodo.
A cinquant’anni di distanza la quasi totalità dei film presentati in quell’occasione è riproposta, per tutto il mese di aprile, nel cinema della Fondazione Prada di Milano all’interno della rassegna curata da Germano Celant intitolata «The New American Cinema Torino 1967».

La fondazione, oltre ad essere sede dell’iniziativa, ha contribuito alla digitalizzazione di più di 30 titoli, disponibili finora solo in 16 o 35 mm, facilitando una maggiore circolazione delle opere più rare proposte nella rassegna torinese.
Nel corso di quattro weekend i programmi saranno preceduti da una tavola rotonda, condotta dallo stesso Celant, sulla ricezione del New American Cinema in Italia con Adriano Aprà, Tonino De Bernardi, Pia De Silvestris Vergine e Ugo Nespolo (sabato 1 aprile) e da una serie di incontri e conversazioni con alcuni dei protagonisti del movimento come Pola Chapelle, vedova di Adolfas Mekas che ha partecipato al New American Cinema sia come filmmaker che come attrice, apparendo nei film del marito, di suo fratello Jonas e di altri autori (venerdì 7 aprile), Ira Schneider, artista sperimentale attiva dagli Anni ’60, tra i primi a realizzare installazioni con proiezioni multi-canale (venerdì 21 aprile) e Peter Kubelka, filmmaker, architetto, musicista, e teorico, fondatore dell’Österreichisches Filmmuseum a Vienna (venerdì 28 aprile).

Il titolo d’apertura della rassegna è The Brig, film di Jonas e Adolfas Mekas del 1964, che adatta per lo schermo l’allestimento teatrale dell’omonimo dramma di Kenneth Brown ad opera del Living Theatre. A riguardo di questo progetto Jonas Mekas disse: «Volevo contestare alcuni dei miti e delle mistificazioni del cinema verità: che cos’è vero nel cinema? Lo spettacolo era un materiale perfetto per un simile esperimento. Io mi ci buttai dentro come fosse un avvenimento reale, ciò che veramente era».