Il guanto di sfida che la Russia ha lanciato ieri all’Occidente è il segno del potere che Mosca è consapevole di aver raccolto in Medio Oriente. A meno di 48 ore dall’incontro tra Obama e Putin e del simil accordo tra le due super potenze (raid congiunti contro lo Stato Islamico), Mosca ha dato l’ordine all’aviazione militare: colpire le postazioni del califfo in Siria. Ma a far saltare sulla sedia gli anti-Assad è stato il presunto bombardamento di target diversi, postazioni dei ribelli. La Russia si è affrettata a smentire quanto riportato da miliziani secondo cui i raid avrebbero colpito l’Esercito Libero Siriano: i jet russi hanno centrato solo aree sotto il controllo jihadista intorno Homs.

La sfida di Putin non è da poco: il parlamento russo, la Duma, gli ha dato il via libera ad intervenire militarmente in Siria non in coordinamento con la coalizione globale, ma con le forze siriane. Con Damasco: si autorizza il governo a compiere una serie di attacchi aerei «sotto gli ordini del governo siriano per un periodo limitato».

Di certo, ha aggiunto il capo dell’ufficio del presidente, Sergei Ivanov, non saranno inviate truppe via terra, per settimane lo spauracchio degli Stati uniti. Washington ha passato un mese a contare uno ad uno i mezzi militari russi in Siria, dai carri armati alle navi, strepitando per il tentativo di costruire una base militare a Latakia. Putin gli ha rivoltato la frittata: prima promette coordinamento e poi agisce in solitaria. Nella serata di ieri è giunta, però, l’apertura: il ministro degli Esteri Lavrov in un incontro con le controparti mondiali ha annunciato una bozza di risoluzione Onu per creare una coalizione unica contro l’Isis, a cui partecipino gli attori chiave, Iran, Stati uniti, Turchia, Egitto, Giordania, Qatar e Cina.

Com’era facile aspettarsi immediate sono state le reazioni del fronte anti-Assad. Il Pentagono (avvertito un’ora prima dei raid, secondo Mosca; all’oscuro di tutto, secondo gli Usa) ha preso tempo e il segretario di Stato Kerry ha fatto altrettanto: stiamo a vedere – ha detto – cosa colpisce se la Russia, se colpisce l’Isis accogliamo volentieri l’azione.

La prima a farsi sentire è stata l’Arabia saudita. Riyadh teme che tutto il denaro usato in questi anni per foraggiare i gruppi islamisti anti-Assad sia andato sprecato e che alla fine, come un’araba fenice, Assad risorga dalle sue ceneri. Per cui ha avvertito: possibile un’azione militare per rimovere il presidente siriano.

Più cauta la Gran Bretagna: «Se il target selezionato è chiaramente una postazione Isis, ci mandano un segnale: vogliono che il loro intervento sia letto in chiave anti-Isis – ha detto il segretario agli Esteri, Hammond –Altrimenti, se colpiscono dove l’Isis non c’è, ci dicono che vogliono sostenere Assad».

A ruota segue la Francia, che ha avviato la sua personale campagna aerea contro l’Isis la scorsa domenica nel patetico tentativo di essere parte del fronte neo-colonialista globale e di un’eventuale spartizione della torta siriana. «Non hanno colpito l’Isis ma probabilmente gruppi di opposizione – ha detto una fonte diplomatica anonima – La conferma che l’obiettivo è sostenere Assad e non sconfiggere l’Isis». Un fatto che in molti avrebbero dovuto dare per scontato: Putin non ha mai fatto mistero del sostegno al presidente siriano e sempre dichiarato di voler colpire i gruppi islamisti dove la coalizione non lo fa, ovvero nelle zone sotto il controllo del governo o adiacenti.

Infine, non manca chi cerca di salvare la faccia: un ufficiale israeliano ha detto ieri che Mosca avrebbe avvertito Tel Aviv dell’intenzione di lanciare raid in Siria, prima di compierli.

Al di là delle attese reazioni, il quadro appae chiaro. La Russia opera in conformità con l’autorità che ritiene guadagnata sul campo. Sostiene Assad e l’asse sciita Iran-Damasco-Hezbollah, mettendosi a capo di un centro di coordinamento a Baghdad per coordinare le controffensive sul terreno. L’asse sciita, insieme ai combattenti kurdi a nord, è il solo a mantenere le posizioni contro l’avanzata di Stato Islamico, al-Nusra e la sua galassia di milizie. Non avanza troppo ma non arretra, a differenza delle opposizioni moderate finanziate dall’Occidente, scomparse dal campo di battaglia. L’Occidente e il Golfo ne sono consapevoli. Come sono consapevoli di non poter in questo momento, se non con un atto che aprirebbe un conflitto di dimensioni incontrollabili, frenare la spinta russa. Dovranno far buon viso a cattivo gioco e le prime dichiarazioni di Kerry ne sono la prova.

Sullo sfondo resta il dramma terribile di una popolazione sotto molteplici assedi, preda degli interessi economici e strategici globali. Il popolo siriano è ostaggio di forze a cui sta a cuore la ridefinizione profittevole degli equilibri mondiali.