Stalinopoli, Genova, ma più precisamente la Valpolcevera, grande laboratorio politico si sa. Dagli anni ’70 e pure prima, fino ad arrivare al Beppe pentastellato, ma non solo. A Genova negli anni ’70 la disillusione rapiva quei giovani i cui padri erano nati e avevano vissuto il mito della fabbrica e del Pci.

A Stalinopoli si andava a Vesima, in alcune zone si fraternizzava con i calabresi e si assisteva a future deragliate politiche tra i motorini da proletari e quelli da mezzi fasci. A Genova si stagliavano quei profili disegnati per forza sotto l’etichetta di lotta armata o di dadaismo con cui si è consegnato alla storia quel periodo, mentre nella sua periferia si realizzava la miniaturizzazione di una sconfitta epocale, di cui già si intravedono le sconfitte future.

NELLE PERIFERIE, dove tutto, le mode, la musica, sembrava arrivare sempre in ritardo, una consapevolezza anti-lavorista e già precaria e autonoma giunse invece prima che altrove, suggellando lo scontro generazionale con ciò che era stato partito comunista e con quel conflitto di fabbrica che si andava infine a radicare nel sociale. Fant Precario e Girolamo De Michele raccontano tutto questo in If the kids are united (Manifestolibri, pp 202, euro 18). Un testo punk, caotico e ricco di rimandi, citazioni, eventi su quel decennio tra il ’68 e il ’77 che ci ha portati dritti nella palude degli anni ’80.

Un elastico temporale, generazionale che ancora ci picchia in testa: del resto gli anni ’80 non finiscono mai. «Non ci si esce vivi dagli anni Ottanta», scrivono i due autori. E il tempo, tutto sommato, non è forse una mera convenzione? Passato, presente e futuro: perché non potrebbero andare al contrario, chi ci garantisce che quanto stiamo vivendo sia il presente?

POTREBBE testimoniarlo Stalinopoli, Genova: una città che è presente e assente in If the kids are united; presente nei suoi riferimenti geografici, le vie o i ricchi «de andr(e)oid in vena di sensazioni forti nel quartiere della genovavecchia» e i novelli «Burlandi» che completano l’opera dei predecessori, assente perché Stalinopoli è un luogo dell’anima attraversato da centinaia di migliaia di persone. Potrebbe essere ovunque, in qualunque anfratto temporale: è capitato a chiunque di vivere a Stalinopoli in quegli anni. Non a caso nella sua postfazione Toni Negri lo ammette senza reticenze, quando va a buttarsi proprio nel centro del libro: «Eccoci all’interno del nucleo tragico della vicenda: perché al tradimento sindacale, alla distruzione degli organismi del potere operaio, segue la rottura tra padri e figli. I padri che ancora confidavano – anche se sempre più scettici – che ancora avevano fede nel partito e i figli che guardando i padri soffrire e coprire il dolore della dignità di una vita di lotte, vivevano questo distacco come abbandono del padre».

DISTACCHI, ABBANDONI: a Genova ciò ha avuto una sua linea conduttrice ben precisa. Mentre Stalinopoli – «una striscia di terra attraversata dal torrente Polcevera» a sancire un tutt’uno quindi di Genova con la Valpolcevera – perdeva il suo potere di fabbrica, mentre quel lato del triangolo industriale andava a morire, ecco che i figli dei costruttori della «fabbrica e progresso» finivano per cercare «improbabili avventure e a vivere adolescenziali paure».
Genova vede scorrere di fronte al proprio mare l’operaio massa, poi la finanziarizzazione del capitale e un mondo finisce. Processi e passaggi che nel libro trovano il loro cromosoma letterario attraverso passaggi di questo tipo: «Se l’urlo di Chen teorizzava l’Occidente, il fraseggio calabrese attraversava Stalinopoli, concludendo quel processo di sproletarizzazione proletaria che l’Iri aveva avviato» o ancora: «Se il punk fu un’attitudine lo fu come fuga dal socialismo, dagli Zangheri di ogni latitudine che ci accusavano di volere troppo burro o ci rimproveravano di non farci bastare la 127 o No Stop, in fondo, dicevano la coop sei tu chi può darti di più?».

QUINDI, tornando ai processi storici: arriva, già allora tra schitarrate e sagre di paese, la precarietà. Contemporanea, nella sua nascita al punk: «Neppure vent’anni erano passati da Palmiro e Nilde, e ora Sid e Nancy: tutti potevano essere Syd, non più sciacquare i panni in Arno ma le siringhe nel cesso». Soffrendo questi passaggi storici, il ragazzo di Stalinopoli e con lui gli altri figli dei padri cresciuti con Palmiro e Nilde, proprio mentre il mondo a cui erano abituati inizia la sfuggevole decadenza, cerca un proprio posto nel mondo.
Ma come trovarlo tra chi decideva di «misurarsi la minchia con sbirri e pulotti» e la reazione «piccista» ormai votata alla finanza, alle banche, al capitale in modo molto più netto che in passato?

I RAGAZZI di Stalinopoli sono macchine desideranti, sproletarizzati, precari: «insomma, ci erano estranei il capitale berlinguerino come la potenza comiternica, che poi se ci pensi sono le due facce della stessa sconfitta, dello stesso tradimento». If the kids are united si muove proprio su questo crinale di sconfitta e tradimento, reagendo attraverso il proprio «corpo senza organi»: svuotati di tutto, i kids hanno attraversato le macerie di una «rivoluzione sconfitta» mettendo i propri corpi desideranti al servizio dei primi Jobs act, consapevoli – anche grazie al punk – che anche la sconfitta va percorsa fino alla fine.