«Quando nel 2001 venne inserita nella legge obiettivo era considerata una delle più grandi opere strategiche nazionali». Ma ora che la linea C della metropolitana di Roma «è definitivamente fallita» ed «è uscita dal quadro normativo che doveva guidarla» con «stazioni sparite e costi lievitati» oltre ogni limite sensato, Riccardo Magi, segretario di Radicali Italiani che da consigliere comunale durante la giunta Marino fu il primo – e forse anche il solo: «argomento tabù», dice – a denunciare l’incredibile vicenda dell’opera ideata per il Giubileo del 2000, chiede al Governo di intervenire «risolvendo oggi il contratto in esecuzione con il consorzio Metro C, agendo in giudizio per l’accertamento dell’inadempimento del contratto, ottimizzando quanto realizzato e mettendo a gara una soluzione alternativa per la mobilità capitolina».

«Ma in realtà non siamo noi a chiederlo, è la stessa legge obiettivo che lo impone visto che il progetto messo a gara nel 2006 non esiste più», aggiunge Magi in conferenza stampa al Senato dove ha presentato tutto il carteggio intercorso con la presidenza del consiglio dei ministri e gli esposti presentati in procura, alla Corte dei conti e all’Anac di Cantone.

Risale appena a qualche giorno fa l’ultimo stop ai cantieri della Metro C che, come dice l’ex consigliere radicale attualmente indicato come candidato sindaco da Pippo Civati, «sta faticosamente arrivando al cuore della linea, cioè la tratta giubilare che avrebbe dovuto collegare San Giovanni a San Pietro» ma da lì in poi «non ci sono certezze».

Mancano progetti definitivi e nulla osta archeologici e dopo 45 varianti subite in corso d’opera, nell’ultimo documento inviato al Mit nel dicembre 2014 è previsto perfino, riferisce Magi, «un vergognoso passante ferroviario di 2,7 chilometri tra Piazza Venezia e San Pietro, senza fermate intermedie». In ogni caso, prevede il radicale, «questo segmento non sarà mai realizzato, come non sarà mai realizzata la stazione-museo del Colosseo e la Metro D che doveva completare la rete necessaria per portare dal 27,5% al 32% la fetta di trasporto pubblico nel centro della capitale». L’opera «strategica» venne inserita qualche lustro fa nella cosiddetta «cura del ferro» che ormai però è diventata «superata in tutte le capitali del mondo», come spiega in conferenza stampa l’ingegner Antonio Tamburrino. Avrebbe dovuto essere finanziata per il 100% dallo Stato italiano a condizione che fosse messa in esercizio entro il 31 dicembre 1999.

I Radicali italiani l’8 giugno scorso hanno «inviato una diffida al presidente del Consiglio Renzi e al ministro dei Trasporti Delrio affinché non prendano ulteriori iniziative, amministrative, economiche o anche solo mediatiche, per proseguire l’opera. Abbiamo chiesto che l’erogazione di ulteriori fondi si interrompa immediatamente per non recare danno alle finanze pubbliche», continua Magi che mostra due voluminosi tomi: sono gli esposti presentati alla procura di Roma, alla Corte dei Conti e all’Anac, nell’agosto 2014 prima e quest’anno per una integrazione, che hanno dato avvio alle inchieste in corso della Procura, alle contestazioni delle Corte dei Conti e alla relazione del presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone.

La presidenza del consiglio dei ministri ha risposto, a settembre, «rivendicando, tuttavia, la piena regolarità dei progetti e, comunque, il potere del Cipe (presieduto da Renzi stesso, ndr) di prescindere dal nulla osta della Soprintendenza. L’interpretazione – ribattono i Radicali italiani – non è condivisibile e non tiene conto delle esperienze passate».

«I problemi legati all’archeologia danno la misura dell’inadeguatezza del progetto – continua Magi – presentare lo stallo della Metro C come una calamità naturale perché avvicinandosi al Centro storico sono stati trovati problemi archeologici, è non solo un affronto ai cittadini ma anche un argomento per nascondere responsabilità enormi. Ed è lo stesso Cantone a riconoscere le responsabilità delle aziende e della stazione appaltante Roma Metropolitane nell’aver presentato e accettato un progetto senza i necessari approfondimenti».

Nel frattempo, il quadro finanziario è esploso: il Contraente Generale, la società appaltatrice, ha stoppato i lavori all’inizio di dicembre accusando l’amministrazione capitolina di «mancati pagamenti per oltre 200 milioni di euro dovuti, negli ultimi due anni, per lavori regolarmente eseguiti e certificati».

Ma l’opera, denuncia Magi «è finora costata più di quello che doveva costare: 2 miliardi per arrivare a S. Giovanni, un altro per raggiungere il Colosseo. Tra i 140 e 300 milioni per continuare fino a piazza Venezia, da qui Ottaviano altri 1,3 miliardi. In totale ben 4,5 miliardi, a cui vanno presumibilmente aggiunti non meno di 700 milioni per arrivare a piazzale Clodio. Queste somme da capogiro, fornite dal presidente di Roma Metropolitane Omodeo Salè, se confrontate con i 2,7 miliardi che da contratto avrebbero dovuto consentire la realizzazione dell’intero tracciato, inclusa la “stazione museo archeologica”, incarnano in maniera drammatica l’odissea della Metro C. E il modo in cui questo paese si affrontano le opere strategiche».