Come trent’anni fa, quando per combattere meglio la battaglia in favore della legalizzazione dell’aborto si iscrisse al Partito Radicale, Dominique Velati ha scelto di nuovo la strada della «libertà». Lo ha spiegato lei stessa, infermiera 59enne di Borgomanero (Novara), radicale dal 1986, in un video di commiato realizzato il 13 dicembre scorso, il giorno prima di partire in treno verso la Svizzera dove ha ottenuto il suicidio assistito ed è deceduta nel pomeriggio del 16 dicembre, in una clinica nei pressi di Zurigo.

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Il viaggio di sola andata per Berna, dove Velati, malata terminale di cancro, ha avuto i primi colloqui con i medici dell’associazione elvetica Dignitas che l’ha poi accompagnata fino alla morte, le è stato pagato da Marco Cappato e dai suoi compagni di una vita che hanno voluto con questo gesto – di cui si sono autodenunciati ieri, prima pubblicamente e poi presso il comando centrale dei carabinieri di Roma – aggravare la loro posizione penale per un atto di disobbedienza civile senza precedenti.

«Se non verremo fermati presteremo, tramite l’associazione “Sos Eutanasia” che abbiamo fondato e di cui sono il responsabile legale, lo stesso tipo di aiuto sempre più organizzato a tutti coloro che ce lo chiederanno», ha annunciato Cappato in conferenza stampa con Mina Welby, «mia associata a delinquere o a far rispettare la Costituzione», e la Segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo.

Un’altra battaglia, questa dei Radicali, che Dominique Velati sperava servisse almeno a far discutere e riflettere. E invece la ministra della Salute ha risposto battendo sul solito tasto, seguendo la stessa litania cantata all’unisono con il Movimento per la Vita Italiano: «Bisognerebbe aiutare queste persone a vivere – ha risposto Beatrice Lorenzin – e a trovare nella vita, anche nella malattia, la propria dignità, la speranza».

«La nostra azione di disobbedienza civile proseguirà fino a quando il Parlamento italiano non calendarizzerà la proposta di legge di iniziativa popolare, corredata da 67 mila firme, depositata a settembre 2013 e da allora mai discussa, nemmeno in una Commissione, in violazione dell’art. 71 della Costituzione», ha spiegato Cappato. Il consigliere comunale di Milano e gli altri radicali rischiano molto, perché in Italia chi «agevola in qualsiasi modo» il suicidio è punito con la reclusione da 5 a 12 anni (art. 580 del Codice Penale).

Eppure, non tutti i «suicidi» sono uguali, come non sono uguali di fronte alla legge tutti i malati terminali: il presidente di Radicali italiani, Cappato, e Mina Welby spiegano infatti la differenza tra chi, come Dominique Velati, ha «voluto evitare che il suo cancro le portasse via la serenità di una morte dignitosa» ma per trovarla è stata costretta ad andare all’estero, e chi, come per esempio Piero Welby, il 20 dicembre 2006 riuscì finalmente a portare a termine la sua battaglia personale e politica contro l’accanimento terapeutico e morì nel proprio letto facendo spegnere il respiratore che lo teneva in vita. Senza alcuna conseguenza penale per il medico Mario Riccio, la famiglia e i compagni radicali dell’Associazione Coscioni che lo assistettero, malgrado una lunga inchiesta della magistratura.

«Dominique non aveva problemi economici, ha pagato di tasca propria i 12 mila euro necessari per ottenere l’assistenza al suicidio in Svizzera – racconta ancora Cappato – ma sono decine le persone che ci chiedono aiuto, anche finanziario».

“Sos Eutanasia” nasce anche per questo, per colmare con coraggio un vuoto. Da anni infatti Exit Italia fornisce informazioni e consigli, ma nulla di più, a decine di cittadini italiani che cercano la “dolce morte” nel paese elvetico. «Si rivolgono a noi circa 70 persone al mese, con un trend in crescita da marzo 2015 in media di 1,4 in più ogni giorno, e sono circa 25 gli italiani che da marzo ad oggi hanno ottenuto l’assistenza al suicidio» nel nuovo centro in Canton Ticino, riferisce il presidente di Exit Italia Enrico Coveri.

Per questi cittadini – di cui «solo l’8% si rivelano malati di depressione cronica» – “Sos Eutanasia” «raccoglierà pubblicamente fondi e li aiuterà economicamente per le spese di viaggio: un atto simbolico che si configura come reato. Mi auguro – conclude Cappato – che sia il Parlamento a interrompere la nostra azione o, in caso contrario, spero che potremo difendere davanti al giudice il principio della libertà individuale e del diritto all’autodeterminazione». E se nulla di tutto ciò accadesse, «presenteremo un’interrogazione parlamentare – ha annunciato Rita Bernardini – per chiedere spiegazioni pure sul comportamento e la mancata azione delle forze dell’ordine».