Sono due – e in contrapposizione – i dossier che la Corte europea dei diritti umani dovrà studiare per decidere se riconoscere, da martedì prossimo, il diritto al risarcimento dei detenuti italiani, costretti in celle sovraffollate, che hanno fatto o faranno ricorso, considerando che i primi 6829 giacciono già in attesa del via libera. Quando infatti ieri mattina il presidente della Cedu, il lussemburghese Dean Spielmann, ha ricevuto nello studio di Strasburgo il ministro di Giustizia italiano Andrea Orlando col fardello di compiti fatti e di progetti approntati per risolvere il problema delle nostre carceri «inumane e degradanti», sul suo tavolo, oltre alla corposa documentazione che il titolare di via Arenula spera sia l’asso nella manica per evitare la valanga di sanzioni del Consiglio d’Europa, c’era già anche il dossier di 52 pagine inviato giovedì sera dai Radicali italiani per contestare l’efficacia dei provvedimenti governativi varati ad hoc e l’affermazione del ministro secondo il quale il problema del sovraffollamento sarebbe in via di risoluzione.

24pol1 Andrea-Orlando
«Nel nostro dossier confutiamo accuratamente i dati ufficiali del Dap che parlano di 48.309 posti regolamentari, con 60.197 detenuti presenti al 31 marzo scorso – racconta la segretaria del partito, Rita Bernardini – In realtà, il 2 aprile scorso, la stessa amministrazione ha ammesso che i posti disponibili erano “temporaneamente” 43.547. E anche sul sito del ministero è comparso recentemente un asterisco a piè di pagina che avverte della possibilità di discostamento del dato reale, a causa di sezioni chiuse o inagibili. Secondo noi invece i posti legali sono 40.800. Perché ci sono istituti che hanno più letti che detenuti, come nel caso della Sardegna o degli Opg. Ma sono posti inutilizzabili, a meno che non si voglia deportare in massa 700 detenuti nell’isola o 400 negli ospedali psichiatrici giudiziari. Cioè a meno che non si voglia fare un’operazione comunque illegale».

Bernardini racconta di aver appena ricevuto una lettera da tre detenuti trasferiti nel carcere di Alghero, a mille chilometri dalle loro famiglie. «Mi hanno scritto che stanno meglio di prima – dice la dirigente Radicale – perché ora vivono in tre in una cella da due, ma i loro familiari non hanno la possibilità di andarli a trovare. E questa è un’altra violazione dei diritti».

D’altra parte la sentenza Torreggiani in scadenza il 27 maggio non impone solo uno spazio minimo vitale tra i 3 e i 7 metri quadri per ciascun detenuto, ma ricorda all’Italia che c’è una serie di condizioni per considerare la detenzione “legale” secondo le norme internazionali: dalle ore d’aria all’acqua potabile, le docce a disposizione, il lavoro, l’affettività, le attività sociali, l’igiene e soprattutto l’accesso alle cure. Tasto dolente.

Solo qualche giorno fa i medici penitenziari del Simpse hanno lanciato l’allarme: il 32% dei detenuti italiani è tossicodipendente, il 27% ha un problema psichiatrico, il 17% ha malattie osteoarticolari, il 16% cardiovascolari e circa il 10% problemi metabolici e dermatologici. L’incidenza di malattie infettive dentro il carcere, poi, è tra le 25 e le 40 volte superiore che all’esterno: l’epatite C la più frequente (32,8%), seguita da Tbc (21,8%, ma il 50% nei detenuti stranieri), Epatite B (5,3%), Hiv (3,8%) e sifilide (2,3%).

È questo che preoccupa in particolare il Consiglio d’Europa che martedì prossimo terrà una conferenza specifica proprio sulla salute in carcere, con la presentazione di un nuovo rapporto dell’Oms, e sul rischio di epidemie. Ed è interessante studiare, nel dossier dei Radicali, il numero di ingressi dalla libertà dal 1991 ad oggi: salta agli occhi l’impennata di carcerazioni, soprattutto di soggetti stranieri, dal 2006 in poi, cioè da quando è entrata in vigore la legge sulle droghe Fini-Giovanardi. Mentre le detenute straniere aumentano considerevolmente dal 2003, l’anno della Bossi-Fini. Il trend di carcerazione generale si è invertito solo dal 2012.

Nella documentazione inviata a Strasburgo i Radicali contestano anche l’efficacia delle ultime leggi varate e l’inadeguatezza dei rimedi proposti dal governo italiano. A cominciare dalla limitata possibilità di accesso alla detenzione domiciliare o alla custodia nelle celle di sicurezza, nel caso di arresto in flagranza di reato. Altro problema su cui si pone l’accento è il «rimedio interno» che il governo ha trovato per limitare, come chiedeva la stessa Cedu, il numero di ricorsi per violazione dei diritti umani che negli ultimi anni stavano intasando le aule di giustizia europee. Dall’entrata in vigore della legge 10 del 21 febbraio 2014, il ricorso può essere presentato solo dinanzi ai magistrati di sorveglianza. Ma secondo i dati riportati nel dossier radicale «la pianta organica dei magistrati di sorveglianza prevede 173 unità, mentre i posti coperti sono 158» e «la carenza strutturale del personale dà luogo almeno da un decennio a ritardi inauditi». «Tanto che a Bologna – conclude Bernardini – il presidente del tribunale di sorveglianza, Francesco Maisto, ha deciso di trattare solo le istanze che riguardano i detenuti e non i casi di condannati a piede libero. Rischiando così di creare ulteriori violazioni».