Domenica 25 luglio è morto a Lisbona Otelo Saraiva de Carvalho che a 37 anni, da giovane capitano, diede il via al più singolare colpo di stato mai concepito.

A liberare il Portogallo dal regime fascista più longevo d’Europa non fu una rivoluzione di popolo, ma la rivolta morale di un gruppo di giovani capitani. Negli oltre dieci anni di guerra combattuti contro i movimenti di liberazione nelle vastissime colonie portoghesi di oltremare, all’interno dell’esercito fascista portoghese si era infatti sviluppata una opposizione che si condensò attorno a un piccolo gruppo di giovani capitani, che avevano compreso che ad aver ragione non erano i loro generali, ma i guerriglieri che combattevano per la liberazione dell’Angola, della Guinea e del Mozambico.

L’efficace scuola della sconfitta aprì loro gli occhi tanto che, clandestinamente, si misero a studiare i testi di Samora Machel e Agostino Neto, leader dei movimenti di liberazione che combattevano da anni l’esercito di Salazar e di Caetano. Alcuni di loro avevano studiato in Francia e certo risentivano del clima politico che si respirava in Europa e nel mondo alla fine degli anni Sessanta. Ma questo particolare sessantotto clandestino portoghese portò quel gruppo di giovani capitani a progettare una rivolta visionaria di rara efficacia, che rovesciò in modo incruento un regime violento e oppressivo che durava da 47 anni.

Nell’ideazione di quel golpe da parte di Otelo Saraiva de Carvalho e degli altri capitani di aprile ci fu qualcosa di geniale che vale la pena ricordare.

Per fare un colpo di stato si deve comunicare con dei codici segreti, dichiarare lo stato d’assedio e intimorire la popolazione occupando le strade con i carri armati. Si deve poi impossessarsi di radio e televisione per comunicare a tutti l’avvenuto cambio di regime a cosa fatta.

Ma Otelo e i suoi compagni ribaltano ogni regola. Decidono che il segnale d’inizio del golpe sarà la trasmissione, alla radio della chiesa, di “Grandola villa morena”, la più famosa canzone di opposizione al regime cantata da Josè Afonso, il cantautore più noto e più inviso al regime. Il secondo rovesciamento riguarda il modo in cui i carri armati occuperanno le strade di Lisbona: non dovranno incutere timore, ma invitare la popolazione a scendere in piazza perché la folla accompagni l’azione militare. Saranno dunque aperti e i soldati dovranno parlare a tutti, incitando alla partecipazione e alla rivolta con dei megafoni. Il terzo rovesciamento è legato alla stagione e allo spirito dei capitani. E’ primavera, e poiché è facile trovare a Lisbona garofani rossi, simbolo dell’opposizione antifascista, ogni fucile e bocca di cannone sarà riempita di fiori ad indicare che chi porta quelle armi è stanco di fare la guerra.

Mettere fiori nelle canne dei fucili fu immagine cara a tutti i movimenti di opposizione alla guerra del Vietnam e divenne l’icona simbolo dei movimenti pacifisti e hippie che in quegli anni segnarono l’occidente. Ma una cosa è se quel gesto è fatto da un “figlio dei fiori” con i capelli lunghi che ascolta Bob Dylan, ben altra se quell’azione è messa in atto da soldati di un esercito fascista e colonialista, seguendo l’ordine di un loro capitano.

Sembra una favola ma è accaduto davvero, e un regime che per mezzo secolo è stato capace di “preservare quest’angolo d’Europa dal progresso”, come amava ripetere il dittatore Salazar, crollò nello spazio di un mattino. Prima di fuggire all’estero Marcelo Caetano, suo erede, fece l’ultimo tentativo di deviare la vittoria dei capitani del Movimento delle Forze Armate. Fuggendo dal paese dichiarò infatti: “Per non far cadere il potere nella strada ho affidato la guida dello stato ad Antonio Spinola”, un generale che aveva propugnato un’uscita morbida dal colonialismo, che non mettesse in forse gli equilibri di potere costruiti dal regime. Ma la radicalità del rovesciamento promosso dai capitani non tollerò compromessi e cinque mesi dopo, quando Spinola tentò a sua volta un golpe contro il Movimento delle Forze Armate, venne deposto dando il via alla fase più radicale e convulsa del processo rivoluzionario portoghese, che non portò alla rivoluzione socialista, come sognavano Otelo e alcuni tra i capitani, ma restituì il Portogallo alla democrazia.

A rendere possibile questa singolarissima rivolta fu l’idea visionaria di fondare, all’interno della più rigida e gerarchica delle strutture dello stato, un movimento delle Forze Armate.

La situazione che si creò fu così paradossale. Per 19 mesi, nelle caserme del centrosud del paese, non comandavano più i generali, ma giovani ufficiali intermedi, che sempre più numerosi andavano aderendo a quel movimento che stava appoggiando il sorgere di comitati di base nelle fabbriche della cintura industriale di Lisbona e nei latifondi del sud del paese.

Quando accadde tutto ciò avevo vent’anni e, guardando sui giornali le foto di quei carri armati pieni di fiori, non resistetti e partii per Lisbona. La commozione nel vedere profughi all’aeroporto che tornavano da decenni di esilio e l’entusiasmo di partecipare al primo Primo maggio libero, che vide un milione di persone scendere in piazza e ogni finestra di Lisbona imbandita con lenzuola, tappeti o asciugamani per festeggiare la ritrovata libertà, mi contagiarono al punto che in Portogallo ci restai a vivere un anno e mezzo, seguendo tutte le fasi successive di quel bizzarro e incredibilmente pacifico processo rivoluzionario.

Persino Gabriel Garcia Marquez, di passaggio a Lisbona, dichiarò che il Portogallo era l’unico paese in cui si sentiva di parteggiare per i militari. Impresa ardua per un latinoamericano, dato che l’anno precedente il Cile era stato funestato da uno dei più sanguinari golpe e molti stati di quel continente, a partire dall’Argentina, erano governati in quegli anni da giunte in cui i generali si macchiavano dei peggiori delitti.

Otelo Saraiva de Carvalho non si limitò a ideare e guidare quel singolarissimo golpe alla rovescia, ma istituì il Copcon, una unità militare che sostituì per sette stagioni la polizia fascista nelle strade della capitale. Il Copcon di Otelo adottò come linea di intervento lo slogan: “il popolo ha sempre ragione”. Così, nel vuoto di potere creato da quell’improvviso cambio di regime, si svilupparono in poche stagioni occupazioni di terre ed autogestioni generose, spesso gestite con ingenuità, rese possibili dal fatto che a “mantenere il disordine” a Lisbona c’era un capitano attratto da tutti i movimenti di base che si andavano sviluppando.

Va detto tuttavia che questo periodo di incredibile anarchia, in cui l’antica polizia fascista rimase chiusa per 19 mesi nelle caserme, vide diminuire i delitti a Lisbona e non diede adito ad alcuna violenza, tanto che lo psicoanalista Elvio Facchinelli, al ritorno da Lisbona, intitolò il diario che raccontava quei giorni “Uma tentativa de amor”.

Al di là delle diverse interpretazioni che si possono dare sul convulso processo rivoluzionario che accompagnò il ritorno del Portogallo alla democrazia, va ricordato che il 25 novembre del 1975, quando unità dell’esercito non contagiate da quell’incredibile ossimoro al potere che fu il “Movimento delle Forze Armate”, circondarono le caserme della capitale portoghese, nessuno dei capitani pensò di resistere scatenando una guerra civile. All’origine del golpe antifascista c’era stato il rifiuto del colonialismo e della guerra e, seppur divisi al loro interno, a quella opzione che diede origine alla loro rivolta, i capitani di aprile e Otelo per primo rimasero fedeli.