Il primo a parlarne – anzi a twittarlo – è stato Matteo Renzi: vado in Europa per battere i pugni sul tavolo. Perché? Perché inverta rotta rispetto alle politiche di austerità. Barbara Spinelli gli aveva subito risposto a nome della lista L’altra Europa con Tsipras: battere i pugni sul tavolo non vuol dire niente; bisogna avere un progetto chiaro su che Europa si vuole e il Pd non ce l’ha; per questo continuerà a “navigare” a rimorchio delle larghe intese (Merkel-Schultz) tedesche ed europee. Infatti si è visto come li ha battuti, Renzi, quei pugni: supplicando la Merkel di concedergli uno 0,2 per cento in più nel rapporto deficit/pil rispetto a quello che Bruxelles ha deciso.

Il che gli avrebbe forse permesso di trovare una piccola copertura meno aleatoria per il suo bonus da 80 euro, ma non certo di cambiare politica economica e meno che mai di togliere il cappio del debito dal collo del nostro paese. Tanto più che mentre Renzi pietiva quello 0,2 per cento, la Merkel gli ingiungeva di cominciare a pensare alla restituzione di 50 miliardi di debito all’anno, da aggiungere ai quasi 100 di interessi che già paghiamo: lo impone il Fiscal Compact. Renzi ha fatto finta di non sentire e la Merkel, che conta sul suo appoggio dopo le elezioni europee, non ci è ritornata sopra.

Così tutto è tornato come prima e il governo, con il fido Padoan, ha continuato ad arrampicarsi sugli specchi (del Quirinale) per “salvare” non il paese, ma gli 80 euro che devono far vincere le elezioni al Pd. Così quei pugni – anzi, per dirla in bolognese, quelle pugnette – sono scivolati nel dimenticatoio come tutto quanto Renzi ha detto e fatto nel corso degli ultimi anni; sostituiti da nuove rocambolesche promesse.

A risollevare la bandiera dei pugni – o delle pugnette – sul tavolo lasciata cadere da Renzi, ci ha pensato Beppe Grillo (anche in questo i due si assomigliano sempre più), immemore degli avvertimenti amichevoli di Barbara Spinelli. Lo ha fatto con una canzoncina abbastanza stupida e brutta, che diventerà il refrain del movimento Cinque stelle, accompagnata da una coreografia di gente che batte i pugni sul tavolo. Gente arrabbiata, come tutti noi (tranne quelli che con la crisi ingrassano).

Ma dove portano tutti quei pugni, tutti quei tavoli e tutta quella rabbia? A niente, come tutto quello che dice e fa il movimento Cinque stelle. In particolare in queste elezioni europee.

Un movimento, infatti, che in Europa non ha alleati né partner (siederà nel Parlamento da solo); non ha un candidato alla Presidenza della Commissione; non ha un programma per l’Europa (pensa solo a una sua affermazione nei confronti del Pd in Italia); non ha coerenza né coesione interna (cosa resa evidente dalla emorragia di parlamentari che il movimento sta subendo o imponendo); non sa nemmeno se vuole restare in Europa (chiedendo gli eurobond e una Banca che sia prestatore di ultima istanza) o uscire dall’Euro (il che non gli restituirebbe certo un prestatore di ultima istanza: la Banca d’Italia non lo è più dagli anni ’80).

Ma si tratta di due alternative – posto che il ritorno alla lira abbia senso – che avrebbero comunque bisogno di un intero bagaglio di misure collaterali, tali da configurare due veri e propri programmi contrapposti: il ritorno alle sovranità nazionali e alle guerre commerciali da un lato; un vero governo federale, democraticamente eletto e fondato sulla solidarietà e sulla pace, dall’altro. Ma su entrambi i versanti l’elaborazione programmatica del movimento Cinque Stelle è pari a zero.

La verità è che le elezioni europee sono una cosa seria e non un circo per misurare la propria (fasulla) forza muscolare. E che gli unici in Italia che si presentano con un programma di respiro europeo, per cambiare veramente le cose in Europa, insieme a tutti coloro (partiti, gruppi parlamentari o frazioni di essi, movimenti di lotta e di cittadinanza) che ne condividono o ne condivideranno gli obiettivi di fondo, sono i candidati, i sostenitori e gli elettori della lista L’altra Europa con Tsipras.

Lo fanno con un programma messo a punto durante le varie fasi attraversate nel corso del cammino intrapreso, a partire dall’appello iniziale per continuare con la selezione dei candidati, la raccolta delle firme e la campagna elettorale più povera della storia (perché interamente autofinanziata), ma la cui elaborazione proseguirà anche dopo il 25 maggio, con il sostegno che comitati, associazioni, movimenti, intellettuali ed esperti che sostengono la lista continueranno a fornire ai nostri parlamentari.

Ma i tre principi contenuti nella dichiarazione programmatica di Alexis Tsipras bastano a definirne l’orientamento e l’ampiezza di quel programma:

  1. abolizione di tutti i trattati e gli accordi che regolano le politiche di austerità, rinegoziazione e drastica riduzione del debito pubblico dei paesi sottoposti alle politiche «lacrime e sangue» della Bce o della Troika;
  2. riconversione in senso ecologico dell’apparato produttivo;
  3. politiche di inclusione nei confronti dei migranti, delle minoranze, dei diversi, dei privi di reddito e di diritti.

Per seguire una rotta come questa non basta picchiare i pugni su un tavolo; bisogna mobilitare la cittadinanza, organizzata e non, di molti paesi, promuovere alleanze, perseguire fratture nel campo avversario, voler negoziare e saper accettare, forse, anche qualche compromesso.

Ma l’obiettivo è chiaro: riprendere la strada interrotta che era stata additata settant’anni fa dal «Manifesto di Ventotene» di Altiero Spinelli, strada che il Pd ha perso da ormai molti anni e che il movimento Cinque Stelle non ha mai nemmeno preso in considerazione.