Abbiamo intervistato la docente dell’Università di Cambridge, dove Giulio Regeni svolgeva il suo dottorato sui sindacati indipendenti, Anne Alexander. Alexander, insieme a Moustafa Bassiouny, è autrice del capolavoro sui movimenti operai in Egitto Pane, Libertà e Giustizia sociale. Operai e rivoluzione (Zed Books, 2014). La docente e la supervisor di Giulio Regeni, Maha Abdelrahman, hanno diffuso la lettera aperta di protesta per chiedere la verità sulle cause della morte di Giulio, pubblicata da The Guardian e il manifesto, e sottoscritta da migliaia di persone in tutto il mondo.

Dopo aver scritto quest’importante documento, come commenta le dichiarazioni delle autorità egiziane che smentiscono che in Egitto ci siano prigionieri politici e desaparecidos?
Francamente sono stupefatta dalle dichiarazioni del ministro degli Esteri egiziano, rilasciate per commentare la nostra lettera. Il sistema giudiziario egiziano è diventato noto a tutti per le sue condanne a morte di massa, con un tempo così ridotto per i giudici da non poter nemmeno leggere i nomi degli accusati, e senza prove nei loro confronti. Le proteste pacifiche sono state criminalizzate e alle forze di sicurezza è stato dato il permesso di usare violenza letale contro le manifestazioni. Le stazioni di polizia in molti quartieri sono diventate sinonimo di centri di tortura.

E la tortura è ormai un’azione sistematica…
Qualche giorno fa Amnesty International ha documentato la morte per tortura di tre detenuti nella stazione di polizia di Mattariyya (un quartiere del Cairo, ndr) in una sola settimana. Secondo i dati di alcune organizzazioni per i diritti umani in Egitto un totale di sette detenuti sono morti nella stessa stazione di polizia solo nel 2015. I detenuti di Mattariyya sono stati stipati in 70 in una stanza adeguata al massimo per 20 persone. Devono pagare una mazzetta alle guardie solo per poter avere un posto in piedi. Molte delle morti in carcere avvengono per soffocamento, mentre altre sono il risultato di pestaggi. Amnesty ha parlato con la famiglia di uno dei detenuti che è morto nel maggio 2014 dopo orrende torture: le sue unghie strappate, era stato bruciato da mozziconi di sigaretta e le sue costole erano state spezzate.

La scorsa settimana, un poliziotto di Mattariyya è andata in un ospedale locale e ha picchiato il medico che si era rifiutato di falsificare un report per loro. Lo staff dell’ospedale è entrato in sciopero per una settimana per protestare e il Sindacato dei medici sta discutendo se sia il caso di avviare uno sciopero nazionale contro la violenza della polizia e le intimidazioni che subisce il personale medico. Questo dimostra che Mattariyya non è un caso isolato ma al contrario sintomatico di un sistema più largo di abusi e di una cultura di impunità per chi perpetra le violenze all’interno dell’apparato di sicurezza dello stato.

Crede che la morte e la tortura di Giulio Regeni siano un attacco senza precedenti alla libertà accademica?
È triste ma l’assassinio di Giulio deve essere incluso in un più ampio contesto di repressione delle libertà accademiche e di attacchi ai diritti umani di accademici e studenti. Lo scorso anno, Islam Atito, uno studente dell’Università di Ain Shams è stato ucciso dalle forze di sicurezza. I suoi compagni di corso dicono che è stato prelevato dall’aula dove svolgeva un esame e poi ucciso. Le forze di sicurezza hanno ripetutamente attaccato campus universitari in Egitto usando proiettili di gomma e pallottole vere contro le proteste studentesche.

Pensa che la morte di Giulio sia più in generale un attacco a tutti gli stranieri critici che vorrebbero recarsi in Egitto per motivi di ricerca o giornalismo?
Le autorità egiziane fin qui hanno espulso gli stranieri che ritenevano troppo critici, oppure non hanno permesso loro di entrare nel paese. Ad eccezione di Peter Greste di al-Jazeera, che è stato preso di mira per la tv per cui lavorava piuttosto che per le sue visioni personali, ed è stato in prigione ma poi è stato rilasciato dopo una grande campagna internazionale. Tuttavia non si contano le notizie dei media che riportano una cultura di paura e sospetto verso gli stranieri, incoraggiata dalle autorità.

Ci può dire se l’imponente esito della vostra campagna di raccolta firme avrà un seguito?
I firmatari della lettera aperta a Cambridge e altrove stanno organizzando una conferenza internazionale sulle sparizioni forzate, torture e uccisioni extragiudiziarie in Egitto e l’impatto che queste hanno sulle libertà accademiche e i diritti umani di giornalisti e ricercatori. Il ministero degli Esteri del Cairo ci ha accusati di «arrivare a conclusioni infondate» basate su «voci» e «distorsioni». Inviteremo accademici esperti e organizzazioni dei diritti umani per presentare prove dettagliate sugli argomenti della conferenza da condividere con la comunità accademica e con il pubblico più ampio.

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