La guerra per il controllo di Afrin ha da ieri un nuovo attore: miliziani delle Forze di difesa nazionale (Ndf) pro-Assad hanno raggiunto Afrin. L’avanzata ha incontrato la reazione dell’aviazione di Ankara: droni e aerei turchi hanno bombardato la colonna e l’hanno costretta a rientrare a Nubul, a nord di Aleppo.

Ancora una volta Ankara è intervenuta con le bombe, dopo che le minacce non hanno dissuaso le forze di Damasco dal fornire un qualunque tipo di sostegno alle milizie curde Ypg/Ypj. Erdogan ha tuonato: «Assedieremo Afrin, non avranno spazio per alcun accordo con il regime siriano». Il presidente turco vuole scongiurare una saldatura tra Ypg e Damasco, ma non è neppure pronto a sedersi al tavolo con Assad come vorrebbe Mosca.

Ma la questione è più complessa: le Ndf sono una creazione iraniana con il sostegno di Hezbollah e la principale forza sciita operativa nel teatro siriano. Seppur non gestite direttamente da Assad, si muove in coordinamento tanto con Teheran quanto con Mosca-Damasco.

Il presidente siriano non ha schierato l’esercito regolare e non ha – al momento in cui scriviamo – alzato l’allarme delle difese missilistiche schierate ad Aleppo, che potrebbero bloccare le operazioni aeree turche e agevolare l’invio di rinforzi ad Afrin. Nelle prossime ore, se la contraerea sarà attivata, si capirà se la situazione è destinata a precipitare o a rientrare.

Assad intende evitare uno scontro diretto tra due eserciti nazionali, sebbene quello turco sia dentro il territorio siriano dal 2015. Ecco perché l’accordo politico (quello militare è stato di nuovo confermato ieri dal portavoce delle Ypg, Nuri Mahmoud) tra curdi e Damasco pare essere lontano dall’essere siglato.

A tentare di mediare la Russia. Per bocca del ministro degli esteri Lavrov ha rivolto un appello alla Turchia: trattate la situazione di Afrin con Assad, perché «gli interessi turchi in materia di sicurezza possono essere completamente protetti attraverso un dialogo con Damasco».

Incapace di frenare la determinazione di Ankara, trattiene a stento la rabbia damascena per la violazione del proprio territorio, oltretutto a sostegno della frangia islamista della ribellione.

Nella rete di equilibri ed alleanze intessuta dai russi si muovono anche le milizie Ndf, che già avevano attaccato nelle settimane scorse le colonne turche ad Idlib mentre erano impegnate ad erigere quegli avamposti militari di osservazione frutto dei colloqui di Astana e Sochi. Ma i timori più grandi di Damasco risiedono probabilmente in una permanenza a lungo termine dei turchi sul suo territorio.

Al netto delle rassicurazioni di Ankara sul rispetto dell’integrità territoriale siriana, è l’Iraq a rappresentare per Assad un modello da non replicare: con il nord punteggiato di basi turche da cui Baghdad non riesce più a liberarsi. Ankara non pare più intenzionata a lasciare la questione curda nelle mani dei governi vicini: continuerà a rivendicare il «diritto alla sicurezza», giustificazione utile anche a estendere la propria influenza sul futuro siriano, non attraverso una oggi improbabile annessione di Idlib e Afrin, ma con il consolidamento di un blocco sunnita nelle due regioni.

Per i curdi, senza difese aeree e senza un’America che ha voltato le spalle, la cessione anche parziale del controllo di Afrin rappresenterebbe l’implicita ammissione di non poter frenare l’avanzata turca.
Nelle ultime ventiquattr’ore, Esercito Libero, miliziani qaedisti e salafiti e regolari turchi hanno guadagnato terreno – sollevando speculazioni su un maggior coinvolgimento delle forze speciali turche sul campo – con un’accelerazione coincisa guarda caso proprio con le prime notizie sull’accordo tra governo siriano e amministrazione di Afrin.

Eppure la cessione di parte del controllo del territorio Ypg a Damasco, soprattutto delle frontiere, è un evento futuribile. Se il progetto di Rojava ambisce al federalismo, non alla secessione, cedere oggi significa perdere potere contrattuale domani: un sacrificio imposto da visione realistica che conduce ad alleanze scomode.

Se le Ndf si insedieranno ad Afrin, le Ypg troverebbero un alleato contro l’aggressione turca, ma al contempo un’eventuale fonte di tensioni settarie. E bisognerà vedere cosa farà Israele a fronte di un’estensione del braccio iraniano in Siria.