Si stringe la morsa sul fronte meridionale. Da due giorni Odessa è tornata al centro dei notiziari per l’intensa attività bellica che ha riguardato le sue coste e i suoi cieli. Se è vero, come in molti pensano e ancora di più sperano, che le truppe russe non oseranno bombardare uno dei simboli della «nazione russa», è altrettanto vero che la costa del mar Nero resta uno dei teatri di guerra più imprevedibili.

KHERSON È STATA CONQUISTATA dall’esercito russo due settimane fa. Le truppe di Mosca hanno da subito fatto capire che la città a nord della Crimea era uno degli obiettivi cardine della prima fase del conflitto. Innanzitutto, per la presenza della diga che potrebbe tagliare i rifornimenti d’acqua potabile a tutta la penisola sottostante, in mano russa dal 2014 e fondamentale per l’avanzata verso ovest e verso nord. In secondo luogo, per l’importante posizione strategica della città. Affacciata sulla foce del Dniepr, Kherson è più o meno a metà strada tra un estremo e l’altro dei confini ucraini meridionali e, soprattutto, è uno snodo fondamentale tra Mariupol e Odessa. Oggi si è tenuta una manifestazione di ucraini che con bandiere e striscioni hanno sfilato per la città ricordando che «Kherson è ucraina».

Si è registrato qualche incidente con le truppe d’occupazione ma nulla di tragico, per fortuna. Tuttavia, quest’episodio, che non è il primo, e i movimenti delle truppe ucraine nei dintorni potrebbero far pensare a un imminente contrattacco. I militari a cui abbiamo provato a chiedere in questi ultimi giorni non hanno mai voluto sbilanciarsi ma uno di questi ha dato una risposta che sa di avvertimento: «Kherson non resterà russa ancora per molto». Se, e sottolineammo se, ciò dovesse effettivamente accadere, lo scenario qui potrebbe mutare rapidamente.

A Mariupol la situazione è disastrosa, senza acqua, luce e gas da due settimane, la città è fiaccata quotidianamente dai bombardamenti russi e, mentre si attende di conoscere la verità sui 1300 sfollati che si erano rifugiati nel teatro filo-drammatico della città, domenica notte l’agenzia RIA Novosti (russa) ha fatto sapere che il ministro della difesa Sergej Shoigu ha imposto un ultimatum alla città.

L’UCRAINA AVREBBE dovuto cedere la città entro le 5 del mattino del 21 marzo e deporre le armi. In seguito, sempre secondo Ria Novosti, le truppe russe avrebbero aperto corridoi umanitari per permettere la fuoriuscita di civili e soldati disarmati. Nel comunicato non era chiaro se tali corridoi avrebbero permesso agli assediati di spostarsi all’interno dei territori ancora controllati da Kiev o se le uniche vie d’uscite permesse sarebbero state a est.

LA RISPOSTA DEL GOVERNO ucraino non si è fatta attendere ed è arrivata attraverso le parole della vice-primo ministro Iryna Vereshchuk che ha dichiarato «la resa non è un’opzione». Inoltre, senza mostrare eccessiva apprensione per la minaccia, le autorità locali hanno chiesto all’esercito invasore l’apertura di passaggi sicuri «immediatamente». Al di là delle dichiarazioni a mezzo stampa, sembra che la sopravvivenza degli oltre 200 mila civili ancora presenti a Mariupol sia seriamente a rischio e che le difese militari della città non siano in grado di tenere oltre.

Qui, infatti, i russi sono riusciti a fare ciò che hanno tentato, finora senza successo, nel resto del Paese, ovvero annientare le difese antiaeree e antimissilistiche. In altri termini, da quasi quindici giorni la difesa del porto d’ingresso del Mar d’Azov è affidata alle truppe terrestri, il che ha creato una disparità tra i due eserciti sempre più incolmabili. Ad oggi il destino della città sembra segnato e ci si aspetta da un momento all’altro la dichiarazione ufficiale.

Ne abbiamo parlato in apertura perché, anche se distante centinaia di chilometri, Mariupol è fondamentale per tutto il fronte sud dell’Ucraina. La conquista della città significherebbe la possibilità, per l’esercito di Putin, di creare una linea continua tra la provincia di Rostov sul Don, il Donbass, la Crimea e, infine, Mykolaiv.

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SI ANDREBBE COSÌ ad ovviare a una delle carenze più grandi dell’esercito russo fino a questo momento, ovvero la mancanza di linee di approvvigionamento efficienti e sicure. E si potrebbe anche assistere a quel tentativo di sfondamento, paventato da molti analisti militari, volto a chiudere le retrovie di Odessa e a iniziare l’ultima avanzata sul Mar Nero. A quel punto le navi di stanza davanti alla linea costiera del più importante porto della regione potrebbero effettivamente intervenire, magari supportate da nuovi arrivi dalla base navale di Sebastopol in Crimea o da qualche sommergibile del quale i satelliti ignorano ancora la presenza.

In questo senso si potrebbero intendere gli sviluppi delle ultime 48 ore, caratterizzate, molto più che nei giorni scorsi, da un’intensa attività dell’artiglieria. Per tutta la giornata di domenica, del resto, si sono sentite raffiche di contraerea e, anche se le sirene non hanno suonato che due volte, è risultato evidente a tutti che le difese della città fossero impegnate alacremente. Alle 19 italiane un boato ha scosso la sera odessiana e poco dopo si è venuto a sapere che la contraerea era riuscita a intercettare un drone russo a metà strada tra la spiaggia di Otrada e il centro città. Nella notte le raffiche sono continuate e le sirene sono suonate più volte.

TUTTAVIA, È STAMANE all’alba che la città ha vissuto seri momenti di apprensione. In una delle prime mattinate senza foschia, sullo sfondo di un mare calmo e del sole timido di marzo, la costa a nord della città è stata bombardata per diversi minuti. I video girati dalle alture prospicienti mostrano diversi colpi sparati in acqua, forse per cercare di colpire la linea di mine posizionata dalla marina ucraina a difesa della baia. Si sa che una delle principali preoccupazioni di Mosca riguardo a un eventuale sbarco è la sicurezza dei natanti fino alla spiaggia.

IN UN SECONDO MOMENTO, il fuoco degli obici è stato indirizzato alla terraferma, non si capisce bene per colpire cose. Diverse abitazioni in riva al mare sono state colpite in modo serio, per fortuna al momento non si registrano vittime. Alcune palazzine nelle vicinanze hanno subito danni superficiali e in un edificio a due chilometri dalla spiaggia è iniziato un incendio che ha impegnato per diverse ore i pompieri, oltre a far alzare nel cielo della città (altrimenti terso) una colonna di fumo nero.

È evidente che questa primavera sarà ricordata per molto tempo dagli abitanti di Odessa, quest’anno non si vedranno le famiglie russe in vacanza e i locali non inizieranno a pubblicizzare i propri eventi in riva al mare per i giovani di San Pietroburgo venuti ad approfittare del clima mite e dei divertimenti balneari. Ma tant’è, ormai la distanza tra quella che fu una delle culle della cultura russa moderna e i suoi antichi frequentatori è diventata incolmabile.