È sul nodo dei sottosegretari che i parlamentari del Movimento 5 Stelle insorsero contro i vertici. Fino a luglio scorso, quando ancora non ci si immaginava la crisi e il cambio di governo, deputati e senatori avevano strappato la possibilità di mettere a verifica le nomine grilline. Si contestava la mancanza di collaborazione e comunicazione con gli eletti e fu una spia di quanto stava per deflagrare.

Nel frattempo è arrivato il nuovo governo Conte e il baricentro del M5S si è spostato di parecchio sui gruppi parlamentari, che hanno tollerato le rivendicazioni di Luigi Di Maio e il protagonismo di alcuni ministri uscenti ma adesso vogliono dire la loro sulla nomina di viceministri e sottosegretari. I presidenti di commissione giocano un ruolo decisivo. Già nella delicata fase delle trattative per la nascita del nuovo esecutivo hanno svolto la funzione di ufficiali di collegamento tra il gruppo di contatto che scriveva il programma e la base dei parlamentare. Ieri, quando ancora il senato non aveva neppure votato la fiducia a Giuseppe Conte, proprio gli otto grillini presidenti di commissione hanno scritto un comunicato abbastanza netto sulla partita in corso dentro il Movimento 5 Stelle.

Rivendicano la «discontinuità anche nel metodo». «Riteniamo che il parlamento debba recuperare un ruolo centrale – scrivono -. D’ora in avanti sarà necessario stringere un rapporto con neoministri e futuri sottosegretari, in discontinuità con quanto accaduto in passato. Come presidenti siamo lo snodo istituzionale preposto per questo tipo di mediazione».

«Siamo convinti che i nomi che verranno selezionati saranno tra le figure migliori del gruppo parlamentare e non solo», spiegano i presidenti di commissione alla camera Filippo Gallinella, Carla Ruocco, Giuseppe Brescia, Marialucia Lorefice, Gianluca Rizzo e Luigi Gallo. I quali si tirano fuori dalla corsa per un posto in seconda fila nell’esecutivo. «Abbiamo detto a più riprese che adempieremo al nostro ruolo fino alla scadenza naturale e speriamo che ciò valga per tutti», dicono.

Poi rilanciano il metodo che già ieri ha prodotto le prime riunioni, pare anche abbastanza tese, tra i parlamentari: «Sarà fondamentale identificare, attraverso le riunioni parlamentari, le figure più adatte con le quali dovremo interfacciarci ogni giorno». Poi la bordata polemica, che fa capire che i toni all’interno non sono sempre rilassati: «Il Movimento 5 Stelle non è un ufficio di collocamento», dicono.

Ogni commissione propone una rosa di cinque candidati alla nomina di governo per ogni ministero di riferimento. Si starebbe ragionando sulla possibilità di indicare tre candidature esterne e due interne per ogni cinquina. La legge prevede che il governo possa essere formato al massimo da 65 membri. Dunque, i sottosegretari dovrebbero essere 45, 25 dei quali spetterebbero al M5S. La loro nomina potrebbe arrivare già al consiglio dei ministri di domani, se oggi tutte le caselle dovessero finire al loro posto. Scalpita l’uscente Laura Castelli, che ambisce a marcare a uomo il ministro dell’Economia, il dem Roberto Gualtieri.

Ma anche un altro grillino di peso come Stefano Buffagni, che nel governo precedente aveva la delega agli affari regionali da sottosegretario alla presidenza del consiglio, adesso ambirebbe ad un posto al ministero di via XX Settembre.

Sarà interessante vedere dove andranno le new entries, i debuttanti al governo che si sono fatti avanti nel rimescolamento della crisi. Ed è ancora aperta la partita per la sostituzione del neoministro allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli da capogruppo al senato. Si profila un ripescaggio pesante e per certi versi scomodo: in pole position c’è Danilo Toni