Tra le montagne rotondeggianti del Myanmar centrale, la strada tra Kalaw a Payangazu è un lungo nastro grigio e serpeggiante. Poca erba e alcuni cespugli ai suoi bordi, è la sola vegetazione disponibile per le capre che pascolano su un terreno reso duro dalla siccità. Tutt’intorno, le foreste sono ovunque graffiate da un susseguire scombinato di piste polverose percorse da autotreni carichi di legname. Svolto per una sterrata che scorre all’ombra di due filari di banano blu della Birmania Musa itinerans, dove un cartello segnala l’ingresso del Green Hill Valley – dopo pochi chilometri bisogna proseguire a piedi. Nonostante il caldo nell’aria, la sensazione è quella di entrare in un santuario verde e fresco.

Il Green Hill Valley è un centro per il rimboschimento e la didattica ambientale, è stato fondato da Htun Wynn e da sua moglie Tin Win Maw. Mi accolgono davanti alla direzione, una bella struttura in legno e bamboo circondata da alberi di Tamarindo Tamarindus indica e profumati rampicanti.

HTUN È VETERINARIO, ma ha lavorato anche come guida naturalistica. «Prima del Ghv – spiega – accompagnavo turisti in tour safari. Ho avuto la possibilità di spostarmi molto, e vedere l’eccessivo sfruttamento di risorse naturali che stava avvenendo nel mio paese, in particolare il previevo di legname è arrivato a livelli insostenibili per l’ambiente».

Nelle foreste del sud-est asiatico cresce un albero pregiato: il teak dahat Tectona hamiltoniana tipico del Myanmar, e il teak comune Tectona grandis, la specie più diffusa in Indocina e India. Nelle isole Filippine, la specie Tectona philippinensis, a causa dell’eccessivo taglio, è inserito dalla Iucn nella lista delle specie minacciate dall’estinzione. Il legno del teak birmano, caratteristico per le fibrature scure e rossastre, è considerato tra i più pregiati e costosi al mondo. Il suo commercio, che copre il 70% del teak richiesto a livello globale, ha un giro d’affari di quasi due miliardi di dollari. Le foreste del Myanmar attualmente si estendono per il 63% del territorio, ma solo il 38% di queste, si possono ancora considerare integre e senza interventi estensivi di taglio.

Il tasso di perdita della superfice forestale causato dalle attività umane è di circa 0,94% annuo: scavi ed infrastrutture minerarie, bonifiche agricole, prelievo di legname da costruzione e da ardere, colture di piantagioni da gomma, zucchero e olio di palma, hanno trasformato e distrutto, dal 1990 al 2010, quasi 25 milioni di ettari di foresta birmana.

Cresciuta con una grande passione per gli elefanti, Maw, ha lavorato nella Myanmar Timber Enterprise – l’ente governativo di controllo sul legname. «Mi sono occupata, in passato, del benessere degli elefanti da lavoro impegnati nei cantieri forestali. La continua richiesta di legname ha ovunque causato un eccessivo carico di lavoro, maltrattamento e la morte per affaticamento di molti elefanti ne sono la triste e diretta conseguenza».

L’ELEFANTE ASIATICO ELEPHAS MAXIMUS ha dimensioni inferiori rispetto al cugino africano Loxodonta africana e vive in piccoli branchi in alcune aree dell’India e del sud est asiatico. Attualmente ne sono riconosciute 4 sottospecie: Elephas maximus indicus in India, Nepal e Indocina, Elephas maximus maximus a Ceylon, Elephas maximus borneensis nel Borneo, e Elephas maximus sumatranus nell’isola di Sumatra, la cui popolazione è gravemente minacciata di estinzione. La cattura in natura, le trasformazioni ambientali e la caccia per il prelievo dell’avorio, hanno portato la specie ad estinguersi in gran parte dell’areale storico. Attualmente sono circa 40.000 gli elefanti asiatici che vivono ancora liberi.

Il Ghv svolge le proprie attività in una provincia che ha subito un forte disboscamento e un grave dissesto del suolo. Con lezioni di laboratorio e didattica sul campo, si formano agricoltori e allevatori dei villaggi vicini, verso una gestione sostenibile del territorio e delle foreste.

«Il governo del Myanmar, dopo cinquant’anni di dittatura militare, si trova ad affrontare importanti problematiche sociali e di sviluppo – dice Maw – e purtroppo la tutela ambientale è ancora poco considerata dai nostri politici. Il Ghv non riceve fondi dallo stato e il suo sostentamento è possibile grazie ai turisti in visita e le donazioni dall’estero». Il Ghv ospita alcuni elefanti da lavoro con un passato di maltrattamento nei cantieri forestali. «Il fenomeno del maltrattamento sugli elefanti e la vendita illegale della loro pelle, ossa e zanne, rischia oggi un’ampia diffusione», afferma Htun. E ancora: «Nelle aree di confine, dove i controlli sono più carenti, in molti approfittano dei ricavati illeciti che si ottengono da questo commercio. Il fenomeno può ulteriormente diffondersi: qui abbiamo la maggior popolazione di elefanti asiatici in semi-cattività». Nel Myanmar ci sono circa 1.500 elefanti selvatici e oltre 5.000 capi domesticati: 3.000 di proprietà governativa, della Myanmar Timber Enterprise, e oltre 2.500 di proprietà privata.

PER RALLENTARE IL DISBOSCAMENTO delle foreste in molte province del Myanmar le attività di taglio sono da poco regolamentate dal governo. Il maggior controllo ha portato un calo dei cantieri forestali, in particolare di quelli illegali, ma anche una riduzione di lavoro per chi gestisce gli elefanti per il trasporto del legname.

Per questo molti elefanti vengono ora abbandonati, in particolare gli anziani e i meno efficenti nel lavoro pesante. Non più abili a trovare cibo in natura, per i lunghi anni trascorsi in cattività, sono spesso abbattuti per evitare che entrino in campi coltivati, nelle piantagioni e nelle strade trafficate.

La loro caccia è anche diventata per molti fonte di reddito, ricavandone ingredienti da vendere nel redditizio mercato della medicina tradizionale asiatica. «Attualmente ospitiamo sette elefanti che vivono liberi tra noi – tutti vittime di abbandono e maltrattamenti – dice Maw – e ogni elefante è gestito da una sola persona, il mahmut. Tra loro si crea uno stretto legame che dura per tutta la vita».
Il veterinario del Ghv è il dottor Ba, che da 40 anni cura elefanti: nel Myanmar sono in pochi a vantare una simile esperienza. Lo incontro nel suo studio, mentre compila i registri in cui riporta le informazioni mediche sui suoi assistiti. Un grande armadio, alle sue spalle, contiene numerosi vasi in vetro. «Sono le uniche medicine che uso con gli elefanti, prodotti naturali che preparo io stesso. Ci sono erbe antibiotiche, anti micotici, cicatrizzanti e preparati per parassitosi intestinali. Ma le patologie comportamentali sono quelle su cui maggiormente lavoro».

Davanti all’ambulatorio è arrivato uno dei suoi pazienti. «Lui è Phoe Chit. Ha otto anni ed è il più giovane tra i nostri elefanti. È stato catturato in natura, e probabilmente la madre è stata uccisa, per utilizzarlo nel trasporto del legname». Il dottor Ba si avvicina al giovane orfano, accarezzandogli la proboscide e sussurrando alle sue grandi orecchie, «ha subìto forti maltrattamenti e la paura dell’uomo è ancora molta. Sono animali estremamente sensibili».

Poco distante, un gruppo di australiani sta aiutando a preparare il cibo per gli elefanti del centro. Un vecchio camion cinese ha appena scaricato foglie di banano, germogli di bambù, ortaggi, zucca e sacchi di farina di miglio. Per i turisti è il momento di interagire direttamente con gli elefanti, offrendogli cibo e portandoli al torrente per il consueto bagno quotidiano. Il Ghv è circondato da colline in cui sono visibili i segni di un recente disboscamento. Il dissesto è più evidente nei versanti più lontani, rivestiti da una grinzosa epidermide di roccia e polvere.

IN MYANMAR LA PERDITA DI COPERTURA forestale ha causato un impatto devastante sull’equilibrio idrogeologico, e il paese è diventato vulnerabile rispetto ai rovinosi eventi meteorologici causati dal cambiamento climatico globale. Inondazioni, siccità e spopolamento in molte aree a rischio sono la triste conseguenza dell’eccesivo sfruttamento delle foreste. Molti villaggi, i cui abitanti erano legati alla pastorizia e agricoltura, sono scomparsi. Qui, con il taglio dell’ultimo grande albero di teak, si è dato inizio ad una catastrofe umana e ambientale.

Dal 2010, il Myanmar ha perso oltre 546.000 ettari di foreste ogni anno, in gran parte di teak: secondo un rapporto dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, è il terzo peggiore tasso di deforestazione, dietro al Brasile e Indonesia. Nel 2016 il governo ha fermato il taglio di legname per un’intera stagione, e nella regione di Pegu Yoma, una delle zone a più alta wilderness del Myanmar, il commercio del teak è stato vietato per 10 anni. Ma i nuovi regolamenti sono difficili da far rispettare e la continua richiesta di teak birmano attira uomini con pochi scrupoli. Gli scontri tra tagliatori illegali e ispettori forestali sono continui, ma adesso chi è sorpreso a contrabbandare legname rischia fino a 20 anni di reclusione.

In una radura della giovane foresta c’è una piccola serra in cui sono custodite un centinaio di piante di teak. «Dieci anni fa, qui intorno, era tutto tutto arido e spoglio» – dice Maw – mentre adesso adesso, grazie all’aiuto dei turisti e degli abitanti dei villaggi, abbiamo piantato 30 mila alberi, la metà di teak birmano».

Appena fuori dal rimboschimento incontro l’ospite più anziano del centro: l’elefante Swe Moe, di 67 anni. È una montagna compatta di muscoli, alta 6 metri e con un peso di 4 tonnellate. Così da vicino, distinguo delle profonde cicatrici sulle orecchie e alle zampe anteriori. Sono il segno del suo passato nei cantieri forestali.

Si avvicina lento e con una incredibile delicatezza mi sfiora con la sua proboscide. «È il primo elefante che abbiamo adottato – spiega Maw – tutti i giorni passeggia tra queste colline senza danneggiare nemmeno uno dei piccoli alberi». Lo osserva andar via, «proprio tutti i giorni… come se aspettasse che la foresta diventi grande per tornare a sentirsi libero sotto di lei».