Ai quattro angoli del paese domani si svolgeranno altrettante manifestazioni di protesta. Mobilitazioni tra loro diverse, ma che insieme segnalano tutta l’insofferenza, l’acuto disagio verso una politica opprimente e torva. Una politica ostile e spesso manesca che non ascolta le ragioni di coscienze e bisogni, anzi nega diritti e speranze. In una multipla e indignata insorgenza si animeranno le piazze di Susa, Gradisca, Pisa e Napoli. Per ribellarsi all’alta velocità, per chiedere la chiusura dei Cie, per rivendicare spazi sociali, per risanare terre avvelenate.

Dopo le giornate d’ottobre a Roma, l’opposizione sociale torna dunque a farsi sentire. A conferma che la lotta per riappropriarsi di beni e diritti comuni è destinata a infittirsi ulteriormente e a inasprire lo scenario politico. Soprattutto dopo l’indecente inganno perpetrato con il referendum sull’acqua, che, malgrado abbia clamorosamente sancito la vittoria di un diritto popolare, resta tuttora disconosciuto e negato, anzi sovvertito. Nell’indifferenza di partiti e istituzioni, che anzi insistono nel loro dissennato saccheggio delle pubbliche risorse. Come sta succedendo nella discussione parlamentare sulla legge di stabilità, dove in molti invocano la svendita di spiagge e scogliere.

Si tratta dunque di contrastare quest’impulso scellerato, di continuare in questa battaglia che certo è politica, riguarda il potere di scegliere e decidere, ma che reclama anche un cambio radicale dell’impronta sociale ed economica. Non sfugge a nessuno che sia nella dimensione urbanizzata, che in quella dell’ambiente naturale il nucleo del contrasto si fondi sul modello di sviluppo, anzi di civiltà, che dovrà assicurare il futuro al paese. Se proseguire lungo questo piano inclinato devastatorio che tutto consuma e tutto sussume, sfruttando e deformando morfologie e paesaggi. O se invece preservare le risorse nazionali, restituendole alla loro funzione primaria, che deve restare a disposizione della cittadinanza e delle sue esigenze. C’è da stabilire se da questa cupissima crisi si esce consegnando alla voracità del mercato i nostri preziosi beni o se da questi ultimi è utile e proficuo promuovere una strutturale rigenerazione di volumi e paesaggi, di stili e consuetudini, di economie e produzioni.
Siamo nel pieno di una patologia del sistema capitalistico. Nell’affanno di risvegliare un mercato in via d’esaurimento perché saturo di merci e stordito dalla finanza, il capitale s’impossessa di funzioni pubbliche attraverso privatizzazioni sempre più spinte e generalizzate. E’ un processo che non trova argini, avendo la politica dismesso il suo ruolo selettivo e ordinatore e accolto come proprio lo sbocco predatorio. Restano dunque sul campo, senza filtri né diaframmi, l’impeto accumulatorio e la resistenza sociale.

Esemplare, la vicenda pisana: che si concentra intorno alla destinazione di un ex stabilimento chimico dismesso da anni, il Colorificio Toscano. La battaglia ha ormai assunto un valore paradigmatico sulla più generale vertenza dell’utilizzo del patrimonio immobiliare, pubblico e privato, che nelle nostre città (dai teatri alle caserme, dai magazzini ai fondi agricoli) viene abbandonato e poi lasciato in pasto alla rendita speculativa.

Occupato e rianimato con decine di attività sociali e culturali che in pochi mesi hanno sviluppato l’esperienza più vitale in città, l’ex Colorificio di Pisa è stato recentemente sgomberato e di nuovo accantonato come un triste residuo. La proprietà intende valorizzarlo destinandolo a non si sa bene quale uso commerciale, al contrario di una larga opinione che vorrebbe riconvertirlo verso funzioni di servizio.

Si staglia per opacità e ipocrisia l’amministrazione comunale: sa che la soluzione migliore sarebbe consegnare l’immobile a un utilizzo comunitario, ma si rifiuta di mostrarsi ostile verso gli intenti affaristici. In una città con una popolazione universitaria e giovanile tra le più alte in Italia, e dove la densità di attività mercantili è soffocante, s’insiste a sfruttare quel gioiello culturale che è Pisa con uno sciatto e mediocre carosello e si rinuncia a promuovere iniziative di riqualificazione urbana e di rianimazione sociale.