Questa volta il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, l’ha davvero fatta grossa: tanto che l’ultimo suo provvedimento – un decreto legislativo varato dal Consiglio dei ministri del 5 maggio scorso – ha causato la ribellione nei tribunali. Un mese di sciopero (niente udienze), anche della fame: incrociano le braccia gli oltre 5 mila giudici onorari, di pace e viceprocuratori, che con il blitz inaspettato del ministero si sono viste improvvisamente ampliate le competenze ma nel contempo quasi azzerate le buste paga. Altro che l’agognata stabilizzazione: per loro si disegna un futuro da precari a vita con 600-700 euro al mese.

E dire che il ministro aveva promesso a più riprese, negli ultimi mesi, di risolvere la questione: facendo campagna per le primarie del Pd, ma anche in sedi ufficiali. «Aveva risposto a una interrogazione parlamentare del gruppo Possibile – spiega Stefania Cacciola, giudice onoraria a Catania e vicepresidente Unimo – Ma ora ci ha delusi, siamo arrabbiati». Archiviata la sfida con Renzi ed Emiliano, insomma, è arrivata la doccia gelata del decreto.

Oggi la magistratura onoraria è formata da circa 4 mila giudici e viceprocuratori, a cui si aggiungono 1500 giudici di pace. Le prime due categorie sono un po’ i «paria» della giustizia, retribuiti a cottimo: molti di loro lavorano nei tribunali – affiancando i magistrati ordinari – anche da 20-25 anni, quindi spesso superano i 50 anni di età. In molti casi aggiungono la professione di avvocato a quella di giudice (ma per legge devono farlo in un distretto diverso) e guadagnano (retribuiti solo per le udienze, ma non per altri compiti) dai 500 ai 900 euro netti al mese. I giudici di pace, al contrario, hanno mensilità più alte: dai 2500 fino ai 5 mila euro netti.

Insomma, parliamo di una sorta di lavoratori autonomi – non hanno contratti, vengono retribuiti per «indennità» – ma che mandano avanti un pezzo del nostro Stato. Una funzione essenziale, sia nel civile che nel penale: così hanno deciso uno sciopero di un mese (fino all’11 giugno) contro quello che l’Associazione nazionale giudici di pace ha definito un «porcellum giudiziario».

La riforma prevede infatti, spiega la stessa associazione, «un aumento notevole delle competenze del giudice di pace, che lo porteranno a trattare circa il 90% del contenzioso», e nel contempo un «sostanziale azzeramento delle retribuzioni, con tagli dell’80%, incidendo sull’autonomia e indipendenza del giudice e sul diritto dei cittadini a un giustizia efficiente». Il decreto Orlando, «nega il diritto alla maternità e non prevede tutele previdenziali e assistenziali».

La riforma dispone che si lavori massimo due giorni a settimana – bisognerà cercarsi necessariamente una seconda professione – e insieme prevede di selezionare altri 8 mila giudici che si dovrebbero fare carico di parte dell’attuale lavoro. Il tutto per 16.410 euro lordi l’anno, che – tolte le tasse, la Cassa previdenza e l’assicurazione – si riducono appunto a circa 600 euro netti al mese.

Al contrario, Orlando aveva più volte affermato di voler stabilizzare i precari attuali, «seguendo la strada offerta dal Consiglio di Stato» (sua risposta al question time alla Camera del 17 aprile scorso): e cioè assumendo i giudici a 2500 euro netti al mese e con tutte le tutele, limitandoli però solo al primo grado per evitare onerosi avanzamenti di carriera; così come era stato fatto nel 1974 per gli allora vicepretori. Un compromesso che piaceva alle associazioni. E invece, pare perché adesso si sia accorto che non ci sono le risorse, il ministro ha fatto dietrofront.