I postumi del Natale familiare sono peggio dei postumi di una sbronza. Mal di testa, cattivo sapore in bocca, incazzatura generalizzata. Hai mentito, hai falsamente sorriso, hai fatto buon viso a cattivo gioco, sei pieno di regali di merda che speri di riuscire a cambiare e che, se così non fosse, ti rimarrebbe sul groppone un sacco di roba inutile che non saprai come riciclare fino al prossimo anno.
The day after. Quando ogni regalo che ti è stato fatto ti fa schifo, quando ogni boccone ingerito è diventato indigesto, quando ogni battuta non ti ha fatto ridere ma piuttosto depresso allora ti senti a casa. Hai capito perché rifuggi la famiglia, perché sei andato a vivere all’estero, perché hai messo tra te e tuoi familiari, anche quelli più alla lontana, centinaia di chilometri. Non si scappa. Le feste comandate – non a caso si dice Natale con i tuoi Pasqua con chi vuoi (magari!) – sono la tregenda dell’umanità. Chi finge di amarle finge spudoratamente. Chi finge di divertirsi in mezzo quel crogiuolo di dissapori, pregiudizi, divergenze mai sopite, è un attore nato, degno di un Oscar con cerimonia e tappeto rosso. Non è possibile che sia stato modellato neppure da un’intelligenza sovrannaturale un essere umano con tali caratteristiche di sopportazione e follia.

 

 

 

La sensazione, ben nota ai più, di contrazione estrema delle pareti dello stomaco dentro un corpo inadatto a sopportare tale sforzo, è una tra le cose più sgradevoli dell’esistenza: cercare di viverla meno volte possibile nell’arco di una vita è l’obiettivo primario di tutti. Invece no, ci si ritrova costretti almeno una volta l’anno, guarda caso nella festa della carità, dell’amore universale, della bontà a ogni costo, a riviverla peggio che nel comico, ineluttabile, geniale film con Bill Murray Ricomincio da capo, in cui la medesima giornata si ripeteva all’infinito. Ma quello era un film, viceversa nella realtà… A Natale si dovrebbe essere tutti più buoni e invece fratelli si disprezzano, non dimenticano ferite procurate quaranta-cinquanta-sessant’anni prima, ingiustizie, tradimenti desiderati, scambi reali di mogli o mariti fatti alle spalle, confessati e buttati nel dimenticatoio.
Nessuno ha la coscienza pulita: i cugini si sono desiderati, poi baciati (bleah! reciproco), poi detestati, padre e madre se ne sono fatte di ogni colore sotto gli occhi di tutti e nessuno ha mai detto nulla. Gli avi solamente, nel loro silenzio tombale, conoscono alla perfezione le profezie apocalittiche e le maledizioni ancestrali che si perpetuano di generazione in generazione.

 

La famiglia è una gabbia, un ring, una stanza mai tutta per sé. E allora sfasciamola, sfasciamola senza ritegno a Natale, a Pasqua, alle feste di compleanno, agli onomastici, a ogni tipo di ricorrenza, celebrazione nuziale, ogni giorno è buono per spaccare le catene, per liberarsi dal giogo, per ritrovare una propria individualità distinta e originaria, senza peccato e senza pena.
Oppure tutta questa amarezza, questa negatività, questa visione fosca senza possibilità di salvezza sono solo dovute all’indigestione, al poco sonno, ad una stanchezza atavica di cui nessuno dei nostri familiari ha colpa. E allora, scusateci tutti, chiunque sia stato attaccato, chiunque – di contro – ci ami di amore puro, chiunque si senta pulito e abbia scagliato la prima pietra, scusateci tutti, non so cosa ci abbia spinto a parlare così, forse non lo si saprà mai, l’unica cosa importante che adesso possiamo dire è scusa. E ancora buon Natale a tutti (forse abbiamo digerito, blurp).
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