Il presidente dell’Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani (Aaroi-Emac), Alessandro Vergallo, lancia l’allarme: «Se la politica continuerà a proporre la moltiplicazione dei posti letto in intensiva e area medica come unica soluzione, aggirando la soglie limite previste e incurante della carenza cronica degli organici medici e delle condizioni di lavoro dei sanitari, allora non escludiamo azioni di protesta dei medici anestesisti e di Pronto soccorso, fino allo sciopero».

Vergallo, quanti sono i posti letto in terapia intensiva in Italia?
Stimiamo che siano veritieri i dati certificati dalla Corte dei conti a fine maggio: 5.179 preesistenti la pandemia più circa mille di nuova istituzione. Le notizie recenti li danno a oltre 9mila. Questo si spiega con il meccanismo dei «posti attivabili» che per noi non possono essere considerati strutturali, nonostante sia stato necessario farvi ricorso nella prima ondata 2020, ma a fronte di un sacrificio altissimo che ha dovuto sopportare il personale sanitario, con mancati riposi, azzeramento ferie, contravvenendo al rapporto tra il numero di medici in servizio e i pazienti da seguire, oltre che dovendo lavorare bardati come palombari, terminando i turni di lavoro con i segni sul volto dovuti ai dispositivi anti-contagio.

Quale deve essere il rapporto tra medici e posti letto?
È un numero che varia in base alle caratteristiche delle Rianimazioni. A spanne, nelle ore notturne ci deve essere un anestesista rianimatore ogni 12 posti letto. Nel corso della giornata, a secondo delle attività da svolgere (degenza, esami, diagnostica e interventistica) per ogni modulo da 12 posti servono almeno 4 o 5 unità al mattino e 3 o 4 al pomeriggio. Prima della pandemia c’era una carenza di anestesisti rianimatori pari a 3 o 4 mila unità. Con mille posti letto in più la carenza è cresciuta.

La Lombardia domenica ha annunciato 1.752 nuovi posti letto in area medica per il Covid, è realistica questa crescita?
Per quanto una regione abbia un sistema sanitario forte, verosimilmente si tratta di uno «spostamento di catalogo» ottenuto mediante la cannibalizzazione di posti letto non Covid, che contribuisce non solo ad aumentare lo stress lavorativo, ma anche a rallentare in modo sempre più drammatico l’erogazione di cure extra Covid alla popolazione.

Lei ha avvisato: «Nelle prossime 2, 3 settimane ci aspettiamo il 70% di ricoveri in più nelle terapie intensive». Come si ferma la crescita dei casi?
Abbiamo sempre sostenuto la necessità di un approccio multimodale. In queste ore, dopo che siamo usciti sui media prospettando azioni di protesta forti, si è affievolita la declamazione di posti letto di rianimazione moltiplicati, mentre invece ha acquisito maggior rilevanza la previsione di misure di contenimento sociale e individuale. Dare fondo a tutte le risorse ospedaliere per affrontare il Covid deve essere l’ultima spiaggia in condizioni di emergenza estrema. Per non arrivarci bisogna spingere sulla campagna vaccinale, che vede ancora 6 milioni di persone non vaccinate. In terapia intensiva il 75% dei ricoverati non è vaccinato, a fronte del 10% di popolazione non immunizzata ma reclutabile. E poi mantenere le misure di protezione individuale, mascherine e igiene della mani, eventualmente introdurre da parte della politica misure restrittive se gli allentamenti creano condizioni di rischio.

Servono i tamponi per i vaccinati per accedere a eventi?
Ci sembra un’esagerazione che tra l’altro nuoce, sotto il profilo della comunicazione, alla percezione di efficacia del vaccino. È un momento delicato e la comunicazione va calibrata per superare proteste e resistenze.

Un vaccino come Novavax, che utilizza un sistema già sperimentato, può servire a convincere i No vax?
Diamo per scontato che sia efficace per avere avuto il via libera dell’Ema, potrà convincere alla vaccinazione quella quota parte di popolazione che si è lasciata trascina da congetture, le più varie, sui vaccini a mRna.

Il sistema sanitario pubblico è una priorità, è stato fatto qualcosa?
Tutti i sistemi mondiali sono stati presi alla sprovvista, quello italiano forse ha reagito meglio di molti altri. Il sistema ospedaliero ha retto e regge ancora, mentre il sistema territoriale della medicina generale è stato assente nella prima ondata e non ci risulta aver fatto sufficienti passi avanti. Il nodo centrale è la resistenza ad accettare una riforma dell’attuale rapporto di lavoro in convenzione. I Pronto soccorso, che nel 2020 causa Covid hanno visto ridursi di molto gli accessi impropri, oggi – come prima della pandemia – tornano a riempirsi anche di tanti codici bianchi e verdi, come effetto di un filtro del territorio carente.