La vicenda romana restituisce il grado della effettiva capacità innovativa dei movimenti dell’antipolitica. Quando sono veicoli di protesta, essi si fanno strada con parole d’ordine di radicale estraneità alla casta, da affidare a tribunali del popolo. Agitano anche una intransigente ricusazione del principio del negoziato politico, respinto in quanto tale. Una volta al potere, i non-partiti rivelano però la loro natura reale di organi dell’opaco compromesso permanente.

Il populismo divenuto regime si lascia sorprendere in disinibite pratiche di gestione. Si svelano così le illusioni del marketing del risentimento congegnato dal populismo-movimento per affermarsi tra i ceti popolari.

Le chiacchiere della democrazia diretta e il motto della onestà-onestà si svuotano. Dopo i partiti, è peggiorata la condizione di salute della democrazia. Una volta c’era almeno una parvenza di autonomia dei partiti dalle dinamiche aziendali. Esisteva un gioco di condizionamento reciproco, tra il mondo delle imprese e le macchine di partito. Non esisteva un controllo totale esercitato da uno dei protagonisti, l’impresa. Ora i non-partiti non sono altro che un investimento in campo politico studiato da grandi o piccole imprese che grazie al marketing elettorale conquistano l’amministrazione per reperire opportunità, risorse. La politica è diventata cioè oggetto di mercato, come i macchinari, le forniture, la forza-lavoro, il capitale.

La piccola azienda per stare nel mercato ha per due volte raccolto la microfisica della rabbia diffusa trasformandola nel primo soggetto politico nazionale. Come già accaduto con la macro-impresa berlusconiana, anche il M5S ha solo nella proprietà (la leadership è stata conferita per successione ereditaria!) il supremo grado direttivo. Emerge nelle città la contaminazione di impresa, amministrazioni controllate, manager ombra, governo locale sprovvisto di autonomia nella adozione delle politiche pubbliche e urbanistiche. Trattative private accompagnano spartizioni, tentativi di traffici di influenza, con affacci di convivialità persino nell’impulso a pratiche coalizionali che hanno condotto alla stipula del contratto di governo.
Esiste una zona invisibile di comando, selezione che fa impallidire la retorica del ritrovamento dell’agorà su una base elettronica. La trasparenza della rete è una finzione che copre trame di interessi e giochi strategici per l’accaparramento di influenza, risorse, potenza. La politica, per alcune imprese, è diventata la concorrenza economica condotta con altri mezzi. Le istituzioni sono, in questa ottica, dei semplici strumenti di accumulazione del capitale e la competizione per il voto consente ai partiti-proprietà di afferrare quote della ricchezza-potenza disponibile.

In una democrazia che si sta sempre più spegnendo, affiora la metamorfosi rapida del populismo. Nella fase di movimento, contrapponeva il basso contro l’alto. E ora, nella sua stagione di governo, si impegna in una guerra infinita contro il più basso per eccellenza, cioè il migrante. La “pacchia” contro cui il populismo-regime riesce a scagliare tutti i risentimenti è proprio quella goduta dai migranti, presentati come l’unico ostacolo al benessere, alla sicurezza, alla felicità pubblica. È chiaro che il populismo-regime è solo lo strumento dei veri piani alti della società (con gli eterni ritorni in scena di Savona o Bisignani) per continuare ad esercitare il potere dirigendo l’odio degli esclusi contro la bella vita del migrante.

La coalizione gialloverde trova una leale collaborazione proprio nella guerra santa dei sovranisti per la chiusura dei porti ai corpi dalla pelle nera. Se i migranti o i rom sono i privilegiati che vivono nella “pacchia”, i poteri reali dominano indisturbati. Riescono ad ottenere il controllo delle amministrazioni centrali e periferiche. Possono persino godere di una espropriazione legale della ricchezza sociale, attuata con la seducente flat tax. La mistificazione cognitiva in Italia ha vinto, e il populismo è lo strumento di classe per la conservazione-restaurazione. Lo scivolamento visibile nelle culture e nelle pratiche politiche potrebbe approdare in una qualche variante postmoderna di personalizzazione neoautoritaria del potere.

In questa deriva, presidenti di associazioni per la costituzione, dopo aver scelto il non-partito azienda M5S, adesso invitano all’astensione nelle elezioni di Siena e Pisa. Assurdo. Sarebbe invece molto importante che la piccola onda di resistenza avviata già alla Garbatella si estenda anche nelle città toscane. Vincere nelle vecchie zone rosse servirebbe come un incentivo per riorganizzare le forze contro la minacciosa marea nera oggi trionfante.