Un calabrese di Rosarno, Luigi Preiti, voleva attaccare Montecitorio. Non era un folle, un terrorista rosso o nero, una cellula barbuta di Al Qaeda, un picciotto della ’ndrangheta. Era un disoccupato, come altri quattro milioni di italiani, con un matrimonio fallito alle spalle, come un terzo dei matrimoni negli ultimi dieci anni, ed era diventato soprattutto un «emigrante di ritorno». Pochi sanno che cosa vuol rientrare, non per godersi la pensione, dall’emigrazione. Non te lo puoi permettere a 49 anni di tornare dai genitori anziani senza né arte né parte. Sei un fallito, civilmente morto, senza alcuna prospettiva in quell’ammasso di case mai finite, in quel paesone carico di tensioni sociali che è Rosarno, dove solo tre anni fa gli africani immigrati si sono ribellati ad una condizione da schiavi (che permane anche se non fa più notizia), dove la filiera dello sfruttamento agricolo colpisce i piccoli produttori di arance che la Coca Cola compra a 8 centesimi al kg. , dove la ’ndrangheta, o meglio la borghesia mafiosa, non investe più sul territorio (ma nel nord Italia ed all’estero) dopo che la magistratura gli ha sequestrato alberghi, ipermercati, tenute agricole, centinaia di immobili e aziende.

A Rosarno è nata anche la moglie di un altro Luigi , anch’egli muratore come il Preiti, ma soprattutto rom, che abitava nel quartiere-ghetto di Ciccarello (Reggio C.) dove la maggioranza degli abitanti è dedita ai piccoli furti, alla questua o allo spaccio. Ma, lui no. Luigi Berlingieri, aveva sempre lavorato nell’edilizia fin da bambino, senza rinnegare la sua appartenenza al popolo rom. Si era sposato due volte ed aveva cinque figli da sfamare, ma da un anno non trovava più un lavoro, un lavoretto che gli permettesse di offrire un minino alla sua famiglia. Lo hanno trovato, il mese scorso, impiccato nella cucina della sua piccola casa. In una lettera scritta con la calligrafia di chi non ha terminato le elementari chiede scusa ai suoi figli ed a sua moglie. Era un caso di successo: uno “zingaro” integrato in questo meraviglioso mercato del lavoro, in questo nostro modello di società senza welfare e solidarietà. Familiari, parenti ed amici non si capacitano: era un uomo tranquillo, equilibrato, un uomo normale.
Luigi Preiti ha cercato il gesto clamoroso nel giorno del giuramento del nuovo governo, il gesto che desse un senso ultimo alla sua vita, che riscattasse in qualche modo il suo fallimento. Ha scelto di colpire la “casta”, che tantissimi italiani ormai non sopportano più. Non le banche, come in Spagna e Grecia, non i manager ultrapagati delle grandi aziende pubbliche e private, i burocrati dalle pensioni d’oro, ma i politici sono diventati il bersaglio della rabbia popolare nel nostro paese.

Certamente non è stato Grillo ad aver creato questo clima, ma sicuramente il suo successo elettorale è legato, in parte, ad aver cavalcato questo sentimento. Anche in Calabria, anche a Rosarno, dove si è detto e scritto che il voto è controllato dalla ’ndrangheta, più di un elettore su quattro ha scelto Grillo. Non l’ha fatto perché parla di energie rinnovabili e di “decrescita”, ma perché urla contro questa classe politica corrotta ed inetta.

Se il M5S avesse capitalizzato il successo elettorale, invece di giocare al gatto ed al topo, se avesse ottenuto –negoziando con Bersani- quel reddito di cittadinanza chiesto nelle piazze, probabilmente molti disperati non avrebbero ucciso se stessi o altre persone. Solo il diritto ad un reddito di cittadinanza ti può fare sentire un cittadino anche se non hai un lavoro, ti libera dalla “colpevolizzazione” che è il meccanismo più subdolo con cui questo sistema sociale iniquo porta milioni di persone alla disperazione ed all’autodistruzione.