Dopo il management di casa, anche Telefonica prova a smentire che per Tim Brasil sia allo studio una vendita-spezzatino, tramite la cessione della controllata gioiello di Telecom ad una società creata ex novo, che poi la smembrerebbe fra gli altri operatori tlc del paese sudamericano. “Non siamo parte di tale ‘veicolo’ – precisa la compagnia iberica – e non abbiamo dettagli su questa potenziale operazione da rivelare al pubblico per una valutazione da parte del mercato”.

Le risposte di Telefonica, su richiesta di una Consob che riteneva insufficienti quelle già arrivate dai vertici societari, non allentano certo la tensione. Nel giorno dell’Epifania il titolo Telecom resta stabile, dopo aver segnato venerdì scorso un balzo di quasi il 7%. Effetto diretto delle anticipazioni del Sole 24 Ore sul progetto di una vendita che fa gola a tanti. E dopo l’allarme della Findim di Marco Fossati che detiene il 5% della società, ieri è arrivato anche quello dei piccoli azionisti di Asati. Che per giunta lanciano un siluro all’esecutivo Letta e alla politica.

“Invieremo questa lettera anche a governo e parlamentari – anticipa Franco Lombardi di Asati – perché il silenzio del governo agevola gli interessi di alcuni soggetti anche politici, con il risultato di ridurre Telecom Italia a una piccola divisione di Telefonica. Con la perdita inevitabile di diverse migliaia di posti di lavoro diretti, e altrettanti nell’indotto”. Altra benzina su un fuoco che ha già attirato l’attenzione della magistratura. Alimentato da una puntale simulazione sulle conseguenze di una vendita di Tim Brasil.

L’ufficio studi Asati analizza il gran potenziale del mercato brasiliano, considerando la crescita in base a Pil, elasticità della domanda e ottimizzazione dei costi. Conclusione: “Il valore minimo per una potenziale vendita non può essere inferiore ai 15 miliardi di euro. Anche così, tuttavia, visto l’effetto delle tasse sulla vendita e facendo un piano di sostenibilità per Telecom Italia, senza il Brasile c’è il rischio di ridurre Telecom a operatore locale regionale, senza appeal per nuovi investitori disposti ad aumenti di capitale per nuovi investimenti. La vendita, tra l’altro, non porterebbe beneficio agli azionisti: al di là di brevi fuochi di artificio dovuti a effetti speculativi, il titolo tornerebbe ai valori medi degli ultimi tre mesi, se non peggiori”.

Tutti questi aspetti, avvertono i piccoli azionisti, dovrebbero interessare un governo “che assicura di essere attento allo sviluppo industriale, ma trascura il destino di una delle più grandi aziende del paese”. La quarta, con 50mila addetti diretti e 120mila nell’indotto, nello strategico settore delle tlc. Eppure l’esecutivo Letta non fa una piega. A parte un sos di Stefano Fassina un attimo prima di dimettersi, le ultime dichiarazioni, del ministro della difesa Mario Mauro, risalgono a prima di Natale. E non sono rassicuranti: “Il governo vigilerà sulla proprietà della rete Telecom, perché se un domani Telefonica volesse venderla a qualcuno che non è dentro l’alveo ad esempio del contesto Ue, questo porrebbe degli interrogativi”.

Pur sottintesa, la scelta di fondo è chiara. E Matteo Renzi, favorevole alla separazione fra rete infrastrutturale e azienda – come voleva il governo Monti – non interviene. Silenzio anche sull’ultimo appello a lui diretto dalla Slc Cgil: “L’Italia potrebbe essere il primo paese europeo a perdere l’operatore telefonico di riferimento, con pesanti ripercussioni sullo sviluppo della banda larga”. Una banda che – dati Telecom – nel 2016 sarà a disposizione di non più del 50% degli italiani.