Una magnifica follia quella realizzata dallo scrittore turco Orhan Pamuk, che nel 2006 vinceva il premio Nobel per la letteratura e nel 2008 pubblicava un nuovo romanzo: Il museo dell’innocenza (Einaudi in italiano). Era la storia d’amore di Kemal, un giovane uomo della Istanbul benestante, per Füsun, commessa diciottenne. Un colpo di fulmine, incontri clandestini, che si interrompono quando lui si fidanza ufficialmente con una sua pari all’Hilton hotel di Istanbul, simbolo dell’occidentalizzazione nel 1975, quando la vicenda ha inizio. Da quel momento lei lo molla, poi si sposa, ma poi continueranno a vedersi, come amici, non più come amanti, per anni.

Pamuk racconta la storia con grande precisione, dando vita non solo alla passione e ai sentimenti, ma anche agli oggetti. Oggetti che, con il denaro che ha ottenuto con il Nobel, nel 2012 sono diventati pezzi da museo. Pamuk ha infatti rilevato una palazzina e ha costruito il Museo dell’innocenza dove si trovano le scarpe gialle che Füsun indossava al primo incontro, tutti gli oggetti che nel corso degli anni Kemal ha raccolto, compresi i quattromila e passa mozziconi di sigaretta che lei ha sfiorato con le labbra e che costituiscono il monumento e la testimonianza dell’amore di Kemal per Füsun. Grant Gee è un regista inglese, di documentari e videoclip, quando ha visitato Istanbul è rimasto folgorato da Pamuk, dai suoi romanzi usati come guida e dal Museo.

Così ci ha provato. Lui, nome poco noto, ha chiesto al Nobel che aveva sempre rifiutato di cedere i diritti dei romanzi per farli diventare film, di tradurre cinematograficamente tutta la storia.
Non il romanzo, bensì la vicenda, il museo e Istanbul che pervade tutto. Qualcosa è scattato, Pamuk non solo ha accettato, ma ha lavorato a fianco di Gee, scrivendo ex novo una serie di riflessioni, considerazioni e integrazioni alla storia sulla base delle immagini.  Il risultato è Innocence of Memories – Orhan Pamuk’s Museum & Istanbul, presentato alle Giornate degli Autori.
Un gioiello che comunica emozioni, che inventa soluzioni visive come l’intervista televisiva dello scrittore che spunta nei bar o dalle finestre per contrappuntare e integrare le riprese, tutte rigorosamente notturne, della città.

Lo scrittore ha spostato l’asse temporale della storia, ha dato spazio narrativo a un personaggio minore del romanzo, usandolo come guida, e il risultato è sontuoso, sono considerazioni sulla Turchia, su Geza Park, sulla politica, sulla trasformazione del paese, sulla memoria, sui cani di notte, sul ruolo femminile sempre subalterno, e sulla città come era, rispolverando le immagini fotografiche di Ara Güler, che ha immortalato la vera Istanbul per decenni. E il film provoca un impulso irrefrenabile di andarsi a leggere (o rileggere) il romanzo e di organizzare una visita a Istanbul, compreso il Museo, che peraltro pare non sia facilissimo da trovare. Nel frattempo si potrà vedere il film al cinema come evento Nexo.