I pescatori prelevano i pesci da popolazioni naturali. Da secoli, invece, i beni alimentari sono prodotti a terra con l’agricoltura e l’allevamento del bestiame.

I pescatori, gli ultimi cacciatori-raccoglitori del mondo “civilizzato”, sono in pericolo di estinzione professionale perché… stanno finendo i pesci.

Il paradosso di Jevons ne spiega il motivo: il progresso tecnologico che migliora l’estrazione o la produzione di una risorsa porta ad un aumento del consumo di quella risorsa, mettendone a rischio l’integrità.

La pesca artigianale prevedeva l’uso delle braccia per muovere i piccoli battelli e operare le reti. Quando questo non fu più sufficiente per “estrarre” la risorsa, subentrò il progresso tecnologico: i battelli furono motorizzati, e aumentarono di dimensioni, le reti furono operate con verricelli, arrivando anche a grandi profondità, i pesci furono refrigerati per migliorarne la conservazione e la distribuzione.

Oggi i pescherecci usano i sonar per individuare i banchi di pesce e operano ad ampio raggio: da artigianale, la pesca è diventata industriale.

Quando, a terra, abbiamo sterminato i grandi erbivori siamo passati ad allevare mucche e, oggi, anche in mare stiamo passando all’allevamento, per sopperire alle carenze delle popolazioni naturali. Però alleviamo carnivori (salmoni, spigole, orate) che nutriamo con farine di pesce ottenute da pesci di scarso valore commerciale, catturati da popolazioni naturali.

Se la pesca industriale non è sostenibile, l’allevamento di carnivori lo è ancora meno.

La presenza di pescatori è un indice della salute del mare: se i pescatori scompaiono, significa che il mare sta morendo, perché la loro prosperità si basa sulla buona salute del mare.

Come realizzare il compromesso tra prosperità della nostra specie e quella della natura?

Le tecniche di prelievo devono diventare sostenibili, usando attrezzi selettivi che prelevino i pesci solo quando abbiano raggiunto taglie ragguardevoli.

E qui interviene la tragedia dei beni comuni: chi si appropria del bene comune (i pesci) non sostiene anche i costi indiretti del prelievo (il depauperamento ittico), che diventeranno comuni.

Questo induce ogni pescatore a prelevare i pesci prima che altri li possano prendere. E quindi le triglie, che potrebbero arrivare a misurare 25 cm sono prelevate quando sono 4-5 cm, con un’enorme perdita di prodotto.

L’uso della risorsa-pesci deve essere ottimizzato, usando attrezzi che lascino passare i pesci piccoli, prelevando quelli di taglie superiori. Occorre, inoltre, valorizzare i pesci che ora sono scartati o diventano mangimi, facendoli diventare parte delle nostre diete.

La gestione della pesca si deve basare su criteri scientifici, e sulle conoscenze tradizionali dei pescatori.

E l’acquacoltura si deve focalizzare sui filtratori, come le cozze e le ostriche, non sui carnivori. Se il mare non viene rapinato, torna persino a produrre tonni. Ma è necessaria una visione comune, per realizzare questo progetto di sostenibilità.

Ferdinando Boero è Docente di zoologia, Università Federico II, CoNISMa/Cnr-Ias/stazione zoologica Anthon Dorn, Presidente Fondazione Dohrn; Vicepresidente European Marine Board, membro Comitato scientifico WWF

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Scheda: Anche la pesca sta nel Recovery Plan

A seguire il dibattito politico italiano sull’emergenza che ha indotto l’Unione Europea a varare il progetto di transizione alla “green economy“ inserito nel Recovery Plan “Next generation Europe”, sembrerebbe che il mare non esista.

Una dimenticanza di qualche peso per un paese come l’Italia che di coste ne ha 8.000 km, più di ogni altro paese europeo. E dove dal mare dipende circa il 25% dell’economia, e il 50% della nostra riserva di ossigeno.

Proprio per richiamare l’attenzione sulla necessità di colmare questo “vuoto” la nostra Task Force ha voluto dedicare uno dei suoi primi convegni locali al mare, in particolare a una delle (tantissime) attività che vi sono connesse, la pesca, e di farlo discutendone con chi sa di cosa si tratta: non solo gli scienziati, ma i pescatori.

Questa volta – il 6 marzo scorso (il video qui su facebook) – con quelli di Termoli, costa adriatica molisana, dove coinvolti sono stati anche tutti gli altri soggetti che operano nel settore della fauna ittica, e dunque affrontando i problemi dell’habitat marino, ma anche del suo entroterra, cogliendo l’opportunità di uno sviluppo sostenibile condiviso.

Presente – oltre a Silvio Greco, biologo marino, dirigente di ricerca della Stazione zoologica Anton Dohrn e direttore del Laboratorio di sostenibilità ed economia circolare dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo-Bra e Ferdinando Boero, professore di zoologia dell’Università Federico II di Napoli – anche don Gianfranco De Luca, vescovo della Diocesi, una partecipazione che ha sottolineato quanto sia importante, per l’Italia, che i fondi straordinari messi a disposizione dall’Europa vengano utilizzati anche per chi vive del e con il mare. E quanto sia necessario un progetto di sostenibilità economica e ambientale che abbia al centro quel grande “capitale“ rappresentato dal mare e da quel binomio essenziale che tiene insieme i pescatori e i pesci.

Molti i temi affrontati: la necessità di adottare modalità e sistemi di pesca selettivi e capaci di conservare il necessario equilibrio fra le risorse ittiche (prof. Boero); di determinare un mutamento culturale, strutturando una filiera di prodotti ittici che agevoli il consumo locale del pesce fresco e recuperi le qualità del “pesce povero” (prof. Greco); l’urgenza di andare oltre i finanziamenti a pioggia per passare a un sostegno finanziario volto a recuperare la qualità ambientale del mare (Domenico Guidotti, responsabile di Federagripesca Molise).

Nelle conclusioni Giovanni Di Stasi (ex presidente regione Molise) e Famiano Crucianelli (presidente Biodistretto della via Amerina) hanno raccolto le indicazioni emerse dal dibattito e hanno annunciato il proposito di promuovere un “distretto della pesca“, con l’obiettivo primario di tutelare e valorizzare la risorsa mare e di sviluppare un progetto innovativo per far incontrare il pescato di Termoli con gli straordinari prodotti biologici dell’entroterra.

In questa prospettiva il “distretto della pesca”, denominato “Mare e Colline del Molise“ come suggerito dal Coordinatore del Comitato tecnico-scientifico di Biomolise, Pasquale di Lena, può essere una straordinaria opportunità per coinvolgere e unire la costa e l’interno di questa regione.

L’iniziativa di Termoli deve avere, come proposto da Francesco Cocco e Mario Ialenti, esperti di cooperazione territoriale europea, l’ambizione di ispirare una strategia di sostenibilità per l’intero Adriatico, sia sul versante italiano sia su quello balcanico.