Margherita Hack è stata una grande astrofisica, e anche una grande sportiva. Durante il liceo e l’università, praticò il salto in alto e il salto in lungo, vincendo nel 1941 i campionati nazionali del Littorio, che si disputarono nella sua Firenze. Anche quando vinse la cattedra universitaria a Trieste, non smise mai di coltivare le sue grandi passioni: la bicicletta e la pallavolo. Lo ha fatto fino a quando le gambe hanno retto, poi a 75 anni ha smesso di effettuare le battute da fondo campo con il pallone di pallavolo e di lì a poco anche la bicicletta, compagna di tante gite, è stata appesa al chiodo.

Margherita Hack ha raccontato la sua vita sportiva nel bel libro La mia vita in bicicletta, che Ediciclo in occasione del suo trentesimo anno di pubblicazioni ha ristampato. La passione per le due ruote nasce quando le strade non asfaltate del Giro d’Italia erano contese da Binda e Guerra, Hack parteggiava per Binda, fin da ragazzina e a chiunque chiedeva con chi si schierava. A un giovane muratore, amico di famiglia, chiese insistentemente di insegnarle ad andare in bicicletta, e dopo gli studi ginnasiali, superati brillantemente, i suoi genitori, che vivevano situazioni economiche modeste, le regalarono una bici con la quale pedalava a perdifiato dentro e fuori Firenze, lanciandosi in spericolate discese per provare l’emozione della velocità, non di rado mettendo a rischio la propria e altrui incolumità. A rischio Margherita Hack mise anche gli esami di maturità classica, quando dopo essersi espressa in maniera critica nei confronti del fascismo e di Mussolini con alcuni compagni di classe, fu sospesa per venti giorni nel mese di maggio e dovette sostenere gli esami a ottobre, con esiti positivi.

D’altronde suo padre, antifascista convinto, che trasmise a Margherita quei valori, non volle mai iscriversi al partito nazionale fascista e spesso fu costretto a cambiare lavoro, fino a quando trovò una sistemazione presso la società di teosofia di Firenze, come aiutante della segretaria.

La passione per la bicicletta, le lunghe pedalate per le gite fuoriporta, diventarono per la Hack uno stile di vita che condivise con gli amici. Durante gli anni della docenza universitaria a Trieste, ogni domenica alle uscite in bicicletta l’astrofisica accompagnava lunghe partite di pallavolo con i suoi amici delle due ruote Boris, Marinella, Bianca, Gianni, Marisa, Armando, Gianrossano, Caterina e altri che si aggiungevano in maniera occasionale: «Già da qualche anno, armati di paletti di ferro, di una rete e di nastri di plastica bianchi e rossi per segnare i bordi del campo, tutte le domeniche alle due partivamo per cercare un terreno dove sistemarlo. Abbiamo giocato spesso tra i prati di Lipizza, in quelli vicino al mare a Sistiana, a Caresana sul Carso, dovunque c’era un terreno pianeggiante». Poi a qualcuno venne in mente di ricavare un campo di pallavolo in un’area verde dell’osservatorio astronomico, nella succursale della Bosovizza, dove lavorava Margherita Hack, uno spazio tenuto pulito dalle erbacce dal custode Armando, che era parte della compagnia delle due ruote e della squadra di pallavolo.

Gli anni degli studi universitari, dedicati allo sport agonistico formarono lo spirito sportivo di Margherita Hack, tanto che le pedalate divennero sempre più rade fino a essere relegate agli spostamenti cittadini: «Fra le lezioni a San Marco al mattino e ad Arcetri al pomeriggio, gli allenamenti di atletica e il torneo interrionale di pallacanestro il sabato pomeriggio e la domenica mattina, restava poco tempo per la bicicletta, che mi serviva solo come mezzo di trasporto».

Dopo la Liberazione, un suo primo impiego a Milano alla Ducati, la portò a comprare una moto e successivamente un’auto per raggiungere più facilmente Aldo, il suo compagno di vita rimasto a Firenze, ma appena possibile l’astrofisica tornava alla sua vera passione, la bicicletta. Quando negli anni Novanta del secolo scorso, Margherita Hack partecipò a un convegno internazionale a Grado, non esitò a partire in bici di buon mattino con zaino in spalla per raggiungere l’albergo della cittadina di mare. Dopo il pensionamento l’astrofisica cominciò una «terza giovinezza», come scrive nel libro, fatta di gite in bicicletta, mare e partite di pallavolo, fino a quando un giorno sentì d’improvviso le gambe molli, la pressione era salita a 230, il ricovero in ospedale il 24 dicembre e l’intervento chirurgico con l’installazione di tre by-pass il giorno di Natale, la convinsero ad appendere la bici al chiodo in cantina e lasciare il pallone di pallavolo.

Il libro, la cui lettura è contagiosa, delinea una Margherita Hack dalla vita gaia, semplice, sempre socievole, impegnata politicamente a sinistra, in cui la pratica dello sport ha avuto un ruolo fondamentale per la formazione del suo carattere. Amava i cani e i gatti – ne aveva avuti svariati, tutti trovatelli. Amava pedalare senza mai distogliere lo sguardo dalle stelle, era una persona strana Margherita Hack.