La piazza che si dice piena di amore in realtà si mostra soprattutto arrogante. Vuole decidere lei chi amare e come farlo, ma soprattutto chi può farlo.

Chi ha il diritto di dirsi famiglia, marchio doc che rivendica solo per se stessa: uomo-donna si; uomo-uomo, donna-donna, no. Chi ha il diritto ad avere figli e chi no, ma vuole dire la sua anche sulla sessualità: è giusta quella finalizzata alla procreazione, sbagliata quella che è solo ricerca del piacere.

«Non facciamo la guerra a nessuno», assicura dal palco Massimo Gandolfini, neurochirurgo e macchina del Family Day di ieri al Circo Massimo di Roma.

Non è vero: questa piazza, ma soprattutto chi si alterna sul palco, usa toni gentili, è abile nello scegliere gli oratori e pacata nei modi, ma i messaggi che invia hanno il sapore di una guerra verbale già dichiarata: guerra a qualsiasi forma di famiglia che non sia quella tradizionale, alle persone omosessuali verso le quali «per carità, nessuna discriminazione, ma non pretendano di essere equiparati alla famiglia e stiano lontani dai bambini».

Ma anche guerra a chi non la pensa come loro. Avvertimento esplicito rivolto prima di tutto a Matteo Renzi («La famiglia non si rottama») e poi ai politici che si preparano a discutere al Senato il ddl Cirinnà sulle unioni civili che «va ritirato, punto e basta». «Ci ricorderemo di chi farà sue le istanze di questa piazza e di chi invece le metterà sotto i tacchi», intima Gandolfini.

Una cosa va detta: quella che si è vista ieri al Circo Massimo non è una piazza per vecchi. Non che mancassero, ma a girare nel pratone su cui si affaccia il Palatino è impossibile non notare la grande quantità di giovani. Piccoli e piccolissimi, spinti in carrozzina da mamme e papà felici di esserci, ma anche ragazzi e ragazze più grandi, che si arrotolano sigarette di tabacco stesi su ampi teloni allargati sul prato ancora umido, visto che il sole si fa desiderare.

Il popolo del Family Day ha risposto in massa all’invito di venire a Roma. Non i due milioni di persone proclamate a un certo punto da Gandolfini, e neanche il milione promesso alla vigilia, ma in due-trecentomila sì. Sperano di ripetere il colpaccio di otto anni fa quando, con una manifestazione simile, riuscirono ad affossare i Dico, una specie di unioni civili molto, molto soft.

Molti di loro hanno viaggiato tutta la notte, arrivano da grandi città come Milano e Napoli ma soprattutto dalla provincia, quella dove il parroco conta ancora quanto il sindaco e il maresciallo dei carabinieri.

Appena si affacciano nel catino del Circo Massimo trovano ad attenderli ragazzi che gli offrono un cartello con sopra le sagome stilizzate di due uomini e due donne e la scritta «Sbagliato è sbagliato». «Dovete alzarli quando ve lo dicono», avvertono i volontari. In realtà dal palco non arriverà nessuna richiesta, ma non ce n’è bisogno.

Non sono certo cartelli e striscioni quelli che mancano. «I figli non sono un diritto», «Le unioni civili sono un cavallo di Troia» (verso i matrimoni gay), «No all’utero in affitto». Il più truculento, e dispiace che nessuno l’abbia fatto togliere, dice: «No alla gaystapo (sic)». Giusto perché si parla d’amore.

Si rifiutano di essere etichettati come conservatori.

L’impressione che si ha però è quella di aver fatto una salto indietro nel tempo. E non aiutano certo i messaggi che arrivano dagli altoparlanti uno dei quali, mandato sicuramente per far sorridere (ma mica tanto) riecheggia un vecchio slogan del 1948. «Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Stalin no».

«Se mi sento moderna? No, ma non è un mio problema, preferisco essere me stessa», spiega Sara, 29 anni. Insieme a un gruppo di amici è venuta da Bergamo. Tre pullman pieni di ragazzi «cattolici, ma anche protestanti e laici». E perché hai deciso di venire a Roma? «Perché è l’unico modo che ho per far capire che questo disegno di legge Cirinnà io non lo appoggio, non lo ritengo necessario. E soprattutto non ritengo necessario riconoscere diritti come l’adozione. Se ho amici omosessuali? Sì e alcuni di loro la pensano come me».

Sara è tra i pochi che accettano di parlare. Sono molti invece quelli che preferiscono non rispondere alle domande, come consigliato dall’organizzazione: «In questo modo si evitano strumentalizzazioni».

Più che altro il popolo del Family Day sembra aver bisogno di essere rassicurato sul fatto che la sua famiglia è l’unica possibile. La sola idea che si possa essercene una composta da persone dello stesso sesso va oltre ogni immaginazione.

Ma a far paura è soprattutto l’immagine di due genitori omosessuali. Dal palco mandano un video in cui si mostra una coppia di gay che su un sito internet cercano una donatrice per poter avere un figlio con la gestazione per altri. «Non la voglio bionda, preferisco una mora come mia sorella», dice uno dei due. Poi l’immagine si sposta in una sala parto dove una donna indiana sta per partorire. Si sente una voce che dice: «Guarda com’è bianco il bambino, anche se la donna è indiana». Poi il piccolo viene portato via. «La schiavitù esiste ancora», ammonisce il video, della cui valenza scientifica naturalmente nulla è dato sapere. Ma girano anche opuscoli con storie come quella di «Walt Heyer: da maschio a femmina… and back again», oppure di Luca che «era gay…ma adesso sta con lei». C’è l’happy end, meno male.

E’ tardi, bisogna chiudere. La presentatrice chiama sul palco Gandolfini per il discorso finale. «Il nostro capitano, il nostro numero 10», dice facendo tremare il Palatino che di capitano, per la verità, ne conoscerebbe uno solo (Francesco Totti, ndr).

«Se le unioni civili sono omologate alla famiglia, si farà confusione e non ci sarà più la famiglia, ma modelli variabili e confusi e le vittime saranno i nostri figli. Bisogna stare molto attenti quando si approvano leggi distruttive» arringa il neurochirurgo, per il quale tanti mali del nostro paese si dovrebbero al fatto che «l’Italia ha apostatato le radici giudaico cristiane dell’Europa».

Si finisce con le note del Puccini di «Nessun dorma». Sentiti certi discorsi, non è escluso.

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Vi contatto in merito all'articolo "I padroni
della famiglia", pubblicato il 30 gennaio e scritto dal signor Carlo Lania.
Sono Sara, una ragazza a cui il signor Lania ha
posto delle domande al Circo Massimo e che ha citato nel suo articolo.
Ringrazio il signor Lania per avere riportato
piuttosto fedelmente quanto ho detto; ho trovato
solo una frase non corretta: "soprattutto non
ritengo necessario riconoscere diritti come
l'adozione". In realtà io ho detto che non
ritengo l'adozione un diritto, non che non ritengo necessario riconoscerla.
Può sembrare una sottigliezza, ma nel secondo
caso si parla di un diritto negato a qualcuno; nel primo caso no.
Grazie dell'attenzione,
Un saluto cordiale,
Sara