Due architetti che non fanno questo mestiere e una città che rinnova il proprio appeal, mettendo in scena utopiche progettazioni. I due architetti in questione sono Gabriele Basilico (scomparso di recente), fotografo professionista e Cesare De Seta, storico della disciplina; la città è Venezia, segnata dalla presenza delle Mostre d’arte e di architettura.
Basilico e De Seta hanno perlustrato i Giardini del sestiere di Castello (sede delle manifestazioni veneziane) e, ciascuno per proprio conto, con l’approccio di chi conclude un percorso personale, hanno narrato la storia della Biennale. Ne sono scaturiti due libri, accomunati da un’uscita contemporanea sul mercato: Padiglioni e giardini della Biennale, per Contrasto; Biennali souvenir, per Electa.
In occasione di un dibattito sulla Mostra Arti Visive del 2013 presso la Quadriennale di Roma, nel luglio scorso, è stato presentato il volume di Basilico in cui per la prima volta sono descritti e illustrati i «Padiglioni e giardini della Biennale». Progettati nel corso del Novecento, sono il soggetto principe del fotografo milanese che lascia un’accurata guida di quei «contenitori» che, per oltre un secolo, hanno ospitato mostre ed eventi. Un’impostazione editoriale originale la sua, che si stacca dai prevedibili cataloghi-libroni che accompagnano ogni edizione della Biennale. Con metodo rigoroso per completezza di informazioni, vengono analizzate le strutture che fungono da padiglioni delle nazioni. Basilico ne mette a fuoco 31, con le fotografie a fare da supporto all’apparato testuale curato da storici dell’arte.
Realizzati da architetti che hanno tracciato le linee della progettazione nel Ventesimo secolo, i padiglioni sono una miniera di dati storico-artistici circa gli stili e descrizioni tecniche della fase costruttiva. I Giardini di Castello, in cui sorgono gli edifici «nazionali», si offrono come un inaspettato contesto vegetale che, finalmente, potrà essere ammirato con la dovuta attenzione.
I visitatori, infatti, colti dalla primaria esigenza di infilarsi all’interno dei padiglioni per seguire gli itinerari d’arte della rassegna veneziana, quasi mai si soffermano con occhio curioso sul disegno dei giardini e sui contorni esterni di quegli edifici dagli stili eclettici che li punteggiano. L’ultimo libro di Basilico consente un’inversione: sono i padiglioni a scoprirsi, come sorprendente attrattiva, nel lussureggiante ambiente di un’isola (dove si estendono i Giardini) le cui sponde si affacciano nel bacino di San Marco. Il biglietto d’ingresso alla Biennale vale anche per questo.
La pubblicazione di Electa Biennali souvenir è, invece, una raccolta delle partecipazioni di Cesare De Seta, in veste di critico, alle mostre in laguna. Scritta in forma per metà di diario e per l’altra metà di catalogo, a partire dal 1962, ripropone le vicende che hanno caratterizzato mezzo secolo di Biennali: una ghiotta opportunità per essere informati, con dovizia di dettagli, sulla politica della principale istituzione culturale del paese. Le annate sono infarcite di annotazioni sulle opere e di racconti sui protagonisti; di recensioni che spesso non lesinano attacchi ai curatori di mostre dal forte messaggio provocatorio; di profili di artisti non di rado tratteggiati con critiche taglienti. Gli strali di De Seta, talvolta al veleno, hanno per bersaglio speciale lo scenario italiano. Non mancano pure le lodi verso artisti riconosciuti come maestri o nei confronti di esponenti delle ultime generazioni. Nella lunga carrellata sono comprese le edizioni delle Biennali settoriali, come quella relativa all’architettura e qui la disamina è ancora, se possibile, più vivace. A cominciare dal guazzabuglio, in cui s’imbatte l’autore, della mostra inaugurale; poi l’edizione successiva del 1982 e via via viene analizzata la vicenda dello smantellamento del Padiglione Italia, l’edizione «contro Venezia» del 1991, fino alle rassegne degli anni Duemila con temi che sfociano in accese dispute, per finire a quella sull’ecumenismo ritenuta da De Seta quanto meno «imbarazzante».
Al centro, c’è la figura dell’architetto elevato ad archistar. L’architetto che, nell’accezione di artista, supera il risultato dell’opera finita e si pone all’attenzione generale degli appuntamenti importanti – come la Biennale – nei quali si celebrano i riti di una disciplina come l’architttura. Che, intanto, è divenuta funzionale a colui che era preposto a realizzarla come opera sociale. Il progetto, allora, è confezionato per assecondare la fama del progettista: l’archistar, appunto. Molteplici sono stati i piani, i progetti, le idee attraverso cui si è rivelato altresì centrale, nelle Biennali-Architettura, il ruolo della città ospitante, Venezia, vista come un problema per la sua fragilità (che ne direbbe De Seta del pesante impatto ambientale causato dalle grandi navi da crociera che entrano in laguna?).
Ma i piani e i progetti sono dei disegni, il più delle volte ben fatti, accattivanti. Peccato che a tanta accademia non siano corrisposti degli interventi fattibili, rimasti pressoché a zero.