I nuovi voucher potrebbero riguardare una platea di circa 1,5 milioni di lavoratori tra agricoltura e turismo, senza considerare l’irregolare e il sommerso. Avrebbero un effetto «devastante» sul contratto, spiegano alla Cgil: perché tutto il lavoro che dopo il giro di vite del governo Gentiloni e il conseguente annullamento del referendum si era riversato nei rapporti contrattualizzati, adesso potrebbe emigrare di nuovo e con grande velocità verso il ticket usa e getta.

«CON LA RIFORMA DEL giugno 2017 – spiega Tania Scacchetti, segretaria confederale Cgil – il Libretto famiglia e il Presto, cioè i nuovi voucher, hanno un raggio d’azione molto più limitato. Da quel momento sono tornate a crescere altre forme di lavoro, dal tempo determinato alla somministrazione, fino al lavoro a chiamata. Precarie, certamente, ma perlomeno contrattualizzate: questo significa che buona parte dei voucher copriva rapporti che potevano essere tranquillamente contrattualizzati. E d’altronde lo aveva confermato già la lista di grandi aziende utilizzatrici dei voucher, resa nota dall’Inps su richiesta della Cgil», che il manifesto aveva pubblicato in anteprima.

D’altronde, ad esempio in agricoltura, i voucher esistono già: sono però limitati ai pensionati, agli studenti regolarmente iscritti, ai disoccupati che nell’anno passato non abbiano svolto lavoro nello stesso settore. Determinati paletti – non oltre 2500 euro annui per lavoratore nella stessa azienda, e non oltre 5000 euro per l’azienda – limitano ancora di più il campo. Per tutto il resto, ci sono i contratti.

«CONTRATTI CHE, PERALTRO, offrono già ampia flessibilità – spiega Scacchetti della Cgil – In agricoltura puoi anche assumere una persona per una sola giornata, nel turismo c’è il meccanismo degli extra. E allora, tutta questa insistenza delle imprese cosa vuol dire? Che non vogliono più stipulare contratti? E che messaggio vuole dare il governo se da un lato, per decreto, mette delle regole più stringenti sui contratti a termine e dall’altro ripristina i voucher? Altro che lavoro 4.0, se si ritorna al precariato spinto e senza più contratto».

I voucher attuali, con tutte le limitazioni descritte, oltre all’impossibilità di essere attivati presso medie e grandi aziende, assicurano al lavoratore 9 euro netti, mentre poco più di 3 euro servono a coprire l’Inail e i contributi Inps, per un totale di poco più di 12 euro lordi. La paga è simile al netto di un operaio di medio-basse qualifiche, i contributi sono praticamente stati parificati al 33% del dipendente, ma il grosso problema – meglio dire enorme – è che il voucherista non ha accesso a tutti gli altri istituti del contratto: malattia, maternità, ferie, riposi, tredicesima, tfr, diritti sindacali. I contributi, oltretutto, vanno alla gestione separata Inps: dunque sarà arduo ricongiungerli e metterli realmente a valore.

AGRICOLTURA. Come spiega Ivana Galli, segretaria generale della Flai Cgil, i dipendenti del settore agricolo sono circa 1,2 milioni in Italia, di cui oltre l’80% stagionale. «Stagionale non vuol dire occasionale – tiene a sottolineare Galli – Significa che queste persone lavorano in media ogni anno una novantina di giornate, e se ne riescono a fare un minimo di 102 in un biennio possono accedere alla disoccupazione agricola». Un lavoro strutturato e contrattualizzato, dunque, corredato di tutti i diritti e le tutele, anche per gli stagionali.

Ma l’arrivo dei voucher – o meglio, la loro liberalizzazione – potrebbe devastare i contratti e le tutele. «I voucher nel nostro settore li abbiamo già, ma sono limitati a precise tipologie di lavoratori – spiega Galli della Flai – Visti i tetti di reddito, ciascuno di loro non può superare di fatto le 60 giornate l’anno». Una precisa parametratura che mette al riparo i contrattualizzati dalla minaccia dell’usa e getta. Va precisato che stiamo parlando al netto dello sfruttamento criminale dei caporali, che coinvolge soprattutto i migranti, e che chiaramente rientra nella fattispecie del reato, da ricondurre possibilmente e auspicabilmente al lavoro regolare.

«In agricoltura si può assumere anche solo per una giornata di lavoro – ribadisce la segretaria della Flai Cgil – Esistono già tutti gli strumenti adatti per rispondere per via contrattuale alla stagionalità. Se estendi a tutti i voucher, o peggio togli la tracciabilità, vuol dire che smantelli il contratto, o che vuoi utilizzarli per coprire il lavoro nero, non certo per farlo emergere».

TURISMO. Gli addetti del turismo in Italia, spiega il segretario Filcams Cgil Cristian Sesena, sono circa un milione e mezzo: un terzo di questi, circa 500 mila, sono stagionali. E parliamo degli «emersi», perché nel settore esiste un enorme sottobosco dalle diverse sfumature, dal «grigio» al nero più cupo. «Ti posso assumere 15 ore part time – spiega Sesena – ma poi te ne faccio lavorare 40-45 a settimana, pagando la differenza fuori busta». Ma è facile immaginare che tra alberghi, ristorazione, stabilimenti balneari, strutture di accoglienza turistica, c’è chi la busta paga non la vede mai.

Quanto ai contratti regolari, a parte il boom del lavoro a chiamata che si è generato dopo la cancellazione dei vecchi voucher, è molto in voga anche il tempo determinato stagionale: a cui non si applicano, cioè, i limiti dei 36 mesi, delle proroghe e dei rinnovi, e in teoria puoi lavorare anche tutta la vita solo per pochi mesi l’anno. E la disoccupazione? «Il governo Renzi ha dato alla Naspi un profilo totalmente assicurativo – spiega Sesena – la ottieni in base ai contributi versati negli anni precedenti, ma si riduce anno per anno. Inutile dire che se passi a lavorare in voucher non accedi alla Naspi».

I NUOVI VOUCHER, dunque, andrebbero a minare la possibilità di avere un contratto per quei 500 mila stagionali, mentre «istituzionalizzerebbero il lavoro senza tutele per chi oggi è in nero – spiega il segretario Filcams – Sei coperto sugli infortuni, prendi i contributi, ma non hai malattia, riposi, ferie, permessi, tfr, tredicesima, maternità, diritti sindacali. E poi – conclude – è possibile che dobbiamo pensare ancora al turismo, che da solo produce il 12% del Pil italiano, come a un settore che deve andare avanti con lavoretti di bassa qualità?»