Gli italiani, ridimensionati dalla crisi, tornano alle origini rispolverando i “valori storici” che da sempre li caratterizzano. Niente di rivoluzionario, ma forse è saggio e un po’ salutare. L’importante è la salute, per esempio, e fare soldi comincia a passare in secondo piano. Anche perché per la stragrande maggioranza sono finiti e le prospettive non sono rosee per nessuno. Gli italiani vorrebbero fare più figli e continuano a restare ancorati al campanile, altro che Europa. Però, dicono, vorrebbero diventare vegetariani. Queste e altre linee di tendenza mettono a fuoco il ritratto della nuova stirpe italica che emerge dall’indagine Un secolo di italiani realizzata da Coop in occasione della presentazione di Italiani.Coop, uno strumento di analisi e di ricerca che da oggi è disponibile in rete. Si tratta di un database inedito che consente di conoscere le condizioni socioeconomiche dei singoli territori italiani, con particolare attenzione agli indici relativi ai consumi alimentari e non solo (www.italiani.coop).

Secondo Albino Russo, responsabile dell’ufficio studi Coop, il desiderio di genitorialità si spiega con le «cicatrici della crisi». Non è proprio come dire che i figli sarebbero vissuti come un bene rifugio, ma comunque «gli italiani sono vecchi ma pragmatici e con voglia di cambiare: abbiamo il più basso numero di nascite dall’Unità d’Italia». Nel 2065, secondo una stima Istat, gli italiani saranno 53 milioni (come nel 1968) e solamente il 14% della popolazione avrà meno di 18 anni. La ricerca, ovviamente, non spiega se basterà il desiderio di genitorialità ad invertire la tendenza, ma segnala una curiosa nuova scala valoriale di un paese che starebbe per tornare alle origini di se stesso: nella scala delle aspettative, o desideri, la ricerca segnala al primo posto l’importanza della salute. La saggezza, è popolare. Accumulare soldi, invece, perderebbe 8 punti nella scala valoriale (dal 25% di media europea al 17% italiano) e qui, oltre alla saggezza, forse c’è una scarsa fiducia nel futuro, visto che per fare soldi (di solito) bisogna lavorare ed essere pagati il giusto. E non è un caso se gli italiani sono i più insoddisfatti del loro lavoro rispetto agli europei (in media il distacco è di 10 punti percentuali e arriva a 20 quando si tratta di esprimere giudizi su tematiche ambientali).

Anche studiare perde qualche punto di importanza: meno 4%.

Le aspirazioni per la professione guardano meno alla finanza e più alla tecnologia: la maggioranza vorrebbe occuparsi di Information Technology, poi di educazione e formazione e in terza battuta di ospitalità e turismo. Come valutare queste tendenze? Secondo Russo, «il Paese si proietta nel futuro spogliandosi delle sovrastrutture e ha un atteggiamento nei confronti dei consumi molto più sobrio, crede meno nell’apparire e più nell’essere». Sarà.

L’indagine Coop, ovviamente, si sofferma anche sui consumi alimentari. Anche in questo settore starebbero emergendo nuove tendenze. Nel decennio 1991-2000 gli italiani consumavano 87,1 chili pro capite di carne (voracità mai registrata prima nella storia) mentre nel 2016 ci si attesterà intorno agli 80,7 chili. In futuro, prevede Coop, si mangeranno più carboidrati, formaggi, frutta e verdura (calerà invece il consumo di carne, pesce e dolci). Sembra che il 49% degli italiani si immagina vegetariano, prima o poi.

Infine, senza scomodare lo sfaldamento in corso dell’Unione Europea, la ricerca si sofferma anche sullo scarso europeismo dei cittadini nostrani (uno su dieci parla ancora il dialetto). Gli italiani sarebbero ancora legati a doppio filo alla loro identità micro territoriale, e riscoprirebbero la loro identità nazionale solo quando gioca l’Italia o in casi di emergenze o calamità (l’attentato terroristico di Dacca, per esempio). Di fatto, mentre il 64% degli europei si dice abbastanza soddisfatto di esserlo tra gli italiani la percentuale si abbassa al 47% (nel 1974 l’adesione alla Ue era vista positivamente dall’82% della popolazione. Quanto all’impegno internazionale e all’idea che bisogna assumersi responsabilità per risolvere i problemi del mondo, «siamo tra i più individualisti, terzi nella classifica di chi dice di farsi i fatti propri». Un altro «valore storico» che ci caratterizza. Da sempre.