«The human condition» è la mostra di Leonardo Boscani in corso sino al 10 ottobre al Frac di Corte, in Corsica. Al centro il tema del rapporto tra gli esiti estremi della «civilizzazione» capitalistica e le grandi migrazioni che toccano oggi, tra Africa ed Europa, milioni di esseri umani. Gli spazi del museo sono stati trasformati dall’artista sardo in un grande «Ministero dell’esodo», laboratorio di una sperimentazione che prova a ricomporre la trama simbolica che definisce un’epoca in cui la modernità perviene a esiti che ridefiniscono, insieme alle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del pianeta, pratiche sociali e sistemi di valori, in un equilibrio instabile in cui la pervasività del dominio innesca forme inedite di resistenza e di conflitto.

NON È UN CASO, allora, che Boscani, nel circoscrivere il perimetro della sua ricerca, si rifaccia a un testo come I dannati della Terra, il saggio in cui, nel 1961, Franz Fanon partì dall’analisi del processo di decolonizzazione allora in atto per tentare di definire i tratti di un più generale, planetario, percorso di emancipazione. «Lumpenproletariat – spiega Boscani – è il termine che in I dannati della Terra Fanon riprende da Marx per descrivere la condizione sociale dei giovani africani che, durante la decolonizzazione, si spostavano dai piccoli villaggi verso le grandi città dell’Africa centrale, in un epocale processo di inurbazione. Un esodo che diede vita, ai margini delle metropoli, a una realtà sociale marginale. Le periferie urbane furono occupate da campi provvisori e da baraccopoli di fango, lamiere, legno, cartone. Un nuovo sottoproletariato divenne massa incontrollabile arruolata dalle fazioni politiche e militari dei nuovi Stati indipendenti».

NONOSTANTE OGGI in Africa le condizioni siano mutate non poco rispetto al lontano 1961, rimane intatto, nel pianeta globalizzato sotto il segno del «finanzcapitalismo», il dislivello di potere tra centro e periferia del mondo; rimane invariato il meccanismo che assegna all’Africa un ruolo subalterno nella divisione internazionale del lavoro e nella distribuzione della ricchezza e che produce il nuovo sottoproletariato protagonista delle grandi migrazioni. Una realtà che Boscani indaga puntando il fuoco dell’attenzione sull’attrito, sul conflitto, tra un codice simbolico in crisi (quello occidentale) e ciò che resta delle grandi culture africane.

Boscani ha coinvolto nel suo progetto tre giovani immigrati a Sassari: Soul, Karim e Amadou. «Provengono – spiega Boscani – dal Gambia, dal Senegal e dalla Costa d’Avorio, due di colonizzazione inglese e uno di colonizzazione francese, ma tutti di cultura e di lingua mandinga. Il loro percorso in Italia è simile a quello di tanti altri immigrati. Il primo ha ottenuto il permesso di soggiorno, il secondo è in attesa dei documenti, al terzo è stato rifiutato lo status di profugo politico e non sa quale sarà il suo destino». I nuovi dannati della Terra. Boscani ha lavorato con loro alla costruzione di grandi maschere di cartone. Si è basato sull’arte tradizionale dell’Africa centrale e ha trasformato i simboli tribali in segni grafici (frecce che indicano strade, sagome di piccoli uomini come punti che rappresentano le statistiche delle migrazioni). Nella mostra, Soul, Karim e Amadou sono i guardiani, le porte simboliche, del «Ministero dell’esodo» che nelle sale del Frac racchiude le installazioni di Boscani: un campionario di immagini e di oggetti che disegnano la trama sfilacciata di una cultura, quella occidentale, smarrita di fronte al sostanziale fallimento delle sue stesse premesse.