Nelle ultime 24 ore sono stati registrati 15.479 nuovi casi positivi al coronavirus e 353 decessi per Covid-19. Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità, l’indice Rt è in leggera crescita a 0,99, e il dato indica un contagio praticamente stabile. Ma per gli esperti «questa settimana si osserva un peggioramento nel livello generale del rischio». Emilia-Romagna, Campania e Molise passano dalla zona gialla a quella arancione, dove si aggiungono a Toscana, Liguria. Divise tra arancione e rosso l’Umbria, il Trentino-Alto Adige e l’Abruzzo, con zone rosse nella provincia di Perugia e in parte del ternano, nella provincia di Bolzano e in quelle di Chieti e Pescara.

I numeri di per sé non sarebbero allarmanti, anche se si tratta del quarto giorno consecutivo con un’incidenza di casi in aumento. Nell’ultima settimana i casi rilevati in Italia sono stati però leggermente meno numerosi rispetto a quella precedente (-2,4%). Le vittime sono il 10% in meno, in media 313 al giorno rispetto alle 346 di 7 giorni fa. I musi lunghi di Silvio Brusaferro, Gianni Rezza e Franco Locatelli, i pesi massimi del Comitato tecnico scientifico che presentano i nuovi dati alla stampa, si spiegano con il timore delle varianti.

L’ANDAMENTO NAZIONALE stabile, infatti, nasconde aree in cui il contagio è in ritirata con focolai in piena espansione. In Calabria, Friuli, Sardegna e Sicilia l’indice Rt è vicino a 0,8. In Molise invece si arriva a 1,4, con Toscana, Umbria, Trentino, Abruzzo e Campania intorno all’1,2.

Guarda caso, sono proprio gli stessi territori in cui sono più presenti le varianti del virus: prima di tutto quella inglese B.1.1.7, ma anche le altre (la “sudafricana” B.1.351 e la “brasiliana” P.1) sono già state rilevate. «Rispetto ai ceppi virali in circolazione, la variante B.1.1.7 si è dimostrata più infettiva del 35-40% circa» avverte Brusaferro. Dunque il timore è che quanto osserviamo oggi nelle aree più colpite sia destinato a riprodursi in tutta Italia. Secondo i dati raccolti ai primi di febbraio, la variante inglese rappresenta circa il 18% dei ceppi virali in circolazione.

Per misurare con più precisione la velocità di propagazione delle varianti, l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) ha organizzato una nuova flash survey, che riguarderà i tamponi positivi raccolti il 16 febbraio. Le regioni hanno due settimane di tempo per sequenziare un campione dei test e riferire all’Iss l’incidenza delle varianti. Nella nuova “indagine rapida” saranno monitorate per la prima volta tutte e tre le varianti, e questo spiega il tempo necessario al processamento dei tamponi.

Difficilmente, però, conosceremo i risultati dettagliati di questa nuova indagine oltre al dato complessivo. «Si tratta di un indicatore nazionale» si giustifica Silvio Brusaferro. «Il campione nei singoli territori è a volte esiguo e non significativo, quindi sarebbe sbagliato fare confronti tra regione e regione. Non è uno degli indicatori del monitoraggio. Ma se le regioni vogliono comunicarlo, non abbiamo nulla in contrario». Senza una comunicazione trasparente dei dati, ancorché poco significativi, è fatale che nasca una caccia al dato che finisce per moltiplicare l’incertezza. La diatriba tra il virologo Massimo Galli («ho il reparto invaso dalle varianti») e il suo stesso ospedale, il “Sacco” di Milano («sei pazienti positivi alla variante Uk su 50») ne dà la testimonianza.

SAREBBE DIFFICILE chiedere chiarezza proprio alla Lombardia. La Regione, secondo il monitoraggio settimanale, è quella che comunica con meno completezza i dati sui positivi: la data di insorgenza dei sintomi è nota solo per il 75% dei casi, rendendo più incerto il calcolo di Rt.

Non scatta ancora la “zona bianca” per Sardegna e Val d’Aosta, che da due settimane rispettano il limite dei 50 nuovi casi per centomila abitanti in sette giorni. Per far scattare il nuovo colore, di settimane “virtuose” ne serviranno tre. A quel punto, cinema, teatri e piste da sci potranno riaprire al pubblico.