Si sono svolte con giudizi e finalità opposte, le commemorazioni di palestinesi e israeliani per il primo anniversario dell’inizio dell’offensiva “Margine Protettivo” contro Gaza. 50 giorni di bombardamenti israeliani e di lanci di razzi palestinesi costati la vita a oltre 2.200 abitanti di Gaza (solo una parte erano miliziani armati) e a 72 israeliani, 66 dei quali soldati. Un’offensiva devastante condannata dagli organismi internazionali, con il Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani che il mese scorso, con un rapporto della sua commissione d’inchiesta, ha denunciato che Israele e anche il movimento islamico Hamas hanno commesso crimini di guerra. Tel Aviv ha respinto ogni accusa. Il premier Netanyahu ha difeso l’operazione a Gaza e ammonito i “nemici di Israele” dal lanciare attacchi, altrimenti, ha aggiunto, saranno puniti severamente. In casa palestinese le commemorazioni hanno puntato sulla solidarietà con le famiglie delle vittime e le decine di migliaia di persone che hanno perduto la casa.

 

In un anno si è fatto davvero poco per riparare e ricostruire le case e le infrastrutture distrutte dall’attacco israeliano. Un rapporto pubblicato lunedì da Ocha, l’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari, riferisce che 12.620 abitazioni sono state completamente distrutte, altre 6.455 danneggiate seriamente. 17.670 famiglie (circa 100mila persone) sono state costrette a sfollare. Ma nei giorni più duri di “Margine Protettivo” furono quasi mezzo milione i palestinesi che abbandonarono le loro case, 300 mila dei quali vennero accolti in scuole e strutture dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che assiste i profughi palestinesi. Sino ad oggi non una singola abitazione tra quelle distrutte completamente è stata ricostruita, denuncia Ocha. Altre 150.000 abitazioni sono state danneggiate e i proprietari da soli cercano di ripararle. Se tiene conto anche delle altre due operazioni militari (Piombo fuso e Colonna di difesa) subite da Gaza tra il 2008-9 e il 2014, si stima che sia arrivato nella Striscia soltanto l’1% del cemento e dei materiali necessari per la ricostruzione. Inoltre solo una parte delle famiglie senza casa ha ricevuto la donazione di 200-250 dollari al mese (per un semestre) stabilito dalle agenzie internazionali per aiutare chi ha perduto tutto e oggi vive in case prefabbricate, tende, rifugi di lamiera e tra ciò che resta delle loro case. Persone che hanno un accesso limitato ai servizi igienici, all’acqua potabile e all’energia elettrica. Senza dimenticare i rischi causati dalla presenza di ordigni inesplosi tra le rovine e l’impossibilità, almeno sino ad oggi, di effettuare uno screening per accertare la presenza di radiottività nelle macerie (i proiettili di artiglieria e i missili spesso contengono uranio impoverito).