Appena pubblicata da Skira, Francesco Arena, 5468 giorni è una monografia elegante e minimale, curata da Vincenzo De Bellis, in cui la ricerca dell’artista (Torre Santa Susanna, Brindisi, 1978) si avvicenda, appunto, in 5468 giorni. Seguendo la cronologia, si condensa la struttura semiologica che dà vita alla sua ricerca, in between tra scultura, il Sé e la storia.
Arena interviene all’interno di un paradigma che ripercorre fasi politiche e sociali della storia italiana e non solo, utilizzando spesso il sintagma numerico che gli consente di svuotare il narrato dalla retorica e translitterarlo in misurazione.
Nell’analisi degli eventi storici e nella sua trasposizione in opera è il processo analitico-ricognitivo e la pratica performatica che ne scaturisce a interessare l’artista. Si veda esemplarmente 18.900 mt di ardesia (La strada di Pinelli) del 2009 in cui Arena ha ripercorso a piedi il tragitto effettuato da Pinelli dalla mattina alla sera del 12 dicembre 1978. Il corpo invisibile, dunque, funziona quasi da catalizzatore nella produzione di Arena. Tramite questi dispositivi riesce a riaccendere e coinvolgere l’ immaginario collettivo.
È il caso della sua laconica installazione 3,24mq del 2004, che rievoca la prigione in cui fu rinchiuso Aldo Moro dalle Brigate Rosse nel 1969. Con lo stesso ardire riscrive la destabilizzante «strategia della tensione» in Italia attraverso La trilogia di Giuseppe Pinelli, Occhio destro occhio sinistro e Da 8 a 9 realizzati nel 2011, ma anche Il peso del mio corpo da un blocco di pietra del peso di una barca del 2010, sullo sbarco dei profughi a Lampedusa, Pleur qui peut, rit qui veut, sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980, Genova (foto di gruppo) del 2011, sull’assassinio di Carlo Giuliani durante il G8 a Genova.

Nel suo fare, c’è un’attenzione alla storia civile che traspone in sculture minimali ma anche in evocazioni popular, come alcuni suoi fantasmatici oggetti: Reazione K in una aureola e Mimetica in una aureola (2008), Giornali in una aureola (2009), Falce e martello, Metro quadro con un anno di vento (2015).
Magnifici sono i suoi libri scultorei: Agenda (2011), Cucina democristiana (2012), Zucchero avanzato (Eisenhower), 2012, Zucchero avanzato (Marx) del 2012, Agenda 77 e Agenda 78 (2014) fino al più recente Marmo con 3274 giorni del 2019, un masso marmoreo scavato in cui sono ospitati un numero di fogli di agende corrispondente ai giorni intercorsi tra l’assassinio di Stefano Cucchi all’incriminazione dei carabinieri coinvolti.
Arena ha spiegato al manifesto alcuni concetti chiave che attraversano la sua produzione e la sua monografia.

Che valore viene assegnato ai numeri che fungono spesso da titolo/sottotitolo, ma soprattutto da sintagma?
I numeri servono a definire uno spazio astratto, per spazio intendo sia quello fisico in cui viviamo, agiamo e ci spostiamo che quello indefinito del tempo, il loro valore è condivisibile è semplice da capire perché tutti possiamo intuire che l’1 è tale perché l’essere umano è uno, che 2 è tale perché due sono le nostre mani e due è il numero della coppia, mentre dieci sono le cifre perché abbiamo dieci dita, quindi parliamo di cose primarie che servono a dare un senso al caos nel quale siamo calati.

Quanto incide il sapere nella ispirazione nei diversi lavori? Il riferimento è ai rimandi che plasmano opere come «Marx Between Cubes», «Around Celine», «Orizzonte (Pessoa)», «Pasolini», «Mao», «3,24mq»…
La poesia, la letteratura, la storia passata ma anche la cronaca di oggi sono tutte cose che precipitano insieme. La scultura è costituita di due tipi di materiali: uno è quello visibile dell’opera, il marmo, il fango, l’oggetto, il bronzo, ecc. che in quanto materiale scelto ha un suo significato proprio, specificatamente quel materiale con quella lavorazione che racchiude un tempo e uno sforzo che è diverso da quello di un altro; e poi, per la scultura c’è anche la suggestione che la informa (la storia, il dato), qualcosa che spesso ne determina pure la forma fisica.

La sua è una sorta di opera multisensoriale che fonde audio, testo, performance, fotografia, object trouvé e relaziona il sé al mondo nella sua storia…

Penso all’infinito, le lettere dell’alfabeto sono 26 ma la loro combinazione per formare parole con un dato senso è enorme e la combinazione di queste per creare frasi altrettanto infinita, così è nell’arte, cambiano i materiali, le forme delle opere ma l’uomo parla sempre delle stesse cose dai tempi di Lascaux.