I mille uomini del battaglione Azov hanno recentemente fatto sapere di voler continuare a combattere. Il leader di Pravy Sektor (Settore Destro), il parlamentare ucraino Dimitri Yarosh, potrebbe diventare capo di una divisione ufficiale dell’esercito ucraino.

E la guerra tra oligarchi – all’interno dei gangli decisivi del potere di Kiev – pare non essere affatto terminata, nel quadro di una situazione economica vicina al collasso. É la fotografia dell’Ucraina un anno e qualche giorno dopo quel febbraio 2014 che segnò la vittoria della Majdan sull’ex presidente Yanukovich costretto a fuggire, anche perché incapace di gestire una naturale situazione in bilico tra Unione europea e Russia.

Come scritto dal Financial Times nei giorni scorsi, con riferimento allo scontro tra oligarchi, non è quanto l’Europa si sarebbe aspettata dalla vittoria e dal post Majdan. E proprio in quel febbraio del 2014 – sull’onda della «rivolta» – venne rilasciato dal carcere il capo del «battaglione Azov» Andriy Biletsky (in precedenza al vertice dell’Unione Patriottica, gruppo neonazi membro della famiglia allargata della National Socialist Assembly) eletto poi in parlamento lo scorso ottobre.

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Proprio Biletsky ha criticato l’esercito ucraino, per incompetenza (dopo essersi fatto rifornire da Kiev di armi e attrezzature) e nei giorni scorsi ha espressamente comunicato che per il battaglione Azov la guerra non è affatto terminata, anzi. In questo momento i suoi uomini sono a Mariupol, dove si sono registrati scontri con i filorussi, alla faccia degli accordi di Minsk. Ma i combattenti del battaglione neonazista Azov, non sono gli unici che provano a mantenere una sorta di proprietà sull’etichetta di «patriota», in contrasto con i «burocrati» di Kiev.

C’è anche – tra loro – Dimitri Yarosh, leader di Settore Destro, gruppo neonazista omofobo e militarizzato, nato sulle barricate di Majdan, cui sarebbe stato chiesto di guidare i suoi uomini in modo ufficiale, ovvero una volta «inserito» nelle fila dell’esercito ucraino. Per il leader si preannuncia un ruolo all’interno del ministero della Difesa, abbandonando l’attività parlamentare (è stato eletto alle ultime consultazioni nazionali).

Accettando questo, Yarosh finirebbe per diventare «complice», proprio di quel governo che la destra estrema ucraina – e non solo – considera pressoché fallito. Se non dovesse accettare, per il suo gruppo significherebbe mancare l’occasione per una sorta di riconoscimento ufficiale da parte di Kiev.

Nel frattempo, il tribunale della capitale ha rifiutato di confermare l’arresto dell’ex capo dei servizi di emergenza, Serhiy Bochkovsky, e del suo vice, Vasyl Stoyetsky, arrestati in diretta tv mercoledì scorso, durante una riunione del governo. Per loro l’accusa era di corruzione. Secondo il Kyiv Post, la corte non ha emesso i mandati d’arresto dopo che il pm ha ritirato la richiesta, perché non ci sarebbe «evidenza diretta» di reato. I due quindi potrebbero essere rilasciati da un momento all’altro.

Secondo quanto dichiarato dal ministro dell’interno ucraino Arsen Avakov – in realtà – la richiesta di arresto sarebbe stata ritirata, «perché gli investigatori hanno bisogno di aggiungere ulteriori accuse a carico di Bochkovsky e Stoyetsky». Sempre secondo Avakov, inoltre, un’altra richiesta di arresto sarà inviata a un tribunale già nella mattinata di oggi. «Né Bochkovsly né Stoyetsky – ha scritto il ministro su Facebook – hanno una possibilità di essere rilasciati dalla Procura generale e di veder cadere le accuse contro di loro. La prova delle loro attività di corruzione sono convincenti».

Nei giorni scorsi il direttore del centro di azione anti-corruzione, Vitali Shabunin, ha sollevato dubbi sulla legittimità dell’arresto «show» dei due alti dirigenti, dichiarando che la polizia può eseguire degli arresti senza un ordine del giudice solo se i sospettati sono colti in flagranza di reato o se emergono immediatamente evidenti prove contro di loro.

Infine una nota «russa»: nell’ambito delle sanzioni contro personalità ritenute responsabili della crisi ucraina, gli Usa e l’Ue hanno punito Alexander Dugin, teorico euroasianista, considerato l’ispiratore di numerosi gruppi di estrema destra russi, impegnati con le forze dei separatisti nell’est del paese.