Il mercato delle rinnovabili gode ottima salute, tanto che gli investimenti italiani sono aumentati del 31% nel 2015, ma soprattutto all’estero, in Africa e Sudamerica. Entro i nostri confini il settore vive al contrario un momento di stallo, e nonostante siano stati raggiunti gli obiettivi fissati dalla road map Ue (17% di produzione sul totale dell’energia e 40% sulla sola elettrica), ogni prospettiva di ulteriore sviluppo appare impossibile. Non solo perché sono stati azzerati gli incentivi, ma anche perché oneri fiscali e burocratici, leggi attese a lungo e mai varate, diventano ostacoli insormontabili: una scelta, o se vogliamo una “non” scelta, da imputare in gran parte al governo, che negli ultimi due anni ha trascurato e in alcuni casi anche vessato il comparto, nonostante a parole assicuri di includerlo tra le sue priorità.

A tracciare il quadro economico e di prospettiva delle energie rinnovabili è il Rapporto annuale Irex, La trasformazione dell’industria italiana delle rinnovabili tra integrazione e internazionalizzazione, realizzato dagli analisti della società di consulenza Althesys, coordinati dall’economista Alessandro Marangoni. Nel 2015, spiega lo studio, si sono registrate 140 operazioni, che hanno dato luogo a investimenti per 9,9 miliardi di euro, pari a 6.231 MegaWatt, +31,5% rispetto al 2014. Molto gettonato il settore eolico, con impianti realizzati soprattutto in Africa e Centro-Nord America, e solo per un quarto in Italia. Cresce l’idroelettrico, quasi del tutto realizzato all’estero. Scendono invece gli investimenti nel fotovoltaico (tutti comunque fatti all’estero) e nelle biomasse.

Secondo Marangoni, per un verso è «fisiologico» che le nostre imprese investano all’estero, perché «il mercato europeo è più maturo, e quindi in parte saturo, mentre i paesi cosiddetti emergenti si sviluppano sul piano demografico e dei consumi». In Italia però ci sono dei fattori specifici frenanti: «Oneri burocratici e fiscali più pesanti che nel resto della Ue, e poca chiarezza nella politica energetica. La Francia ad esempio – spiega l’economista di Althesys – pur essendo matura sul piano del nucleare, ha scelto negli ultimi due anni di investire sulle rinnovabili. Da noi, al contrario, si va per stop and go: prima una valanga di incentivi, che poi negli ultimi due anni sono stati tolti. Il che in sé si può anche fare: basta che non accada, come è avvenuto da noi, di varare misure retroattive, che hanno messo nei guai imprese che avevano già programmato gli investimenti».

Se si escludono gli ecobonus per le ristrutturazioni edilizie, che favoriscono solo i piccoli impianti domestici e commerciali, gli incentivi sono scesi ormai a zero. Zero per il fotovoltaico. Fine delle aste per le eoliche: le ultime si sono fermate al 2015, e non è stata mai fatta una legge per indirne di nuove.

Biomasse: restano in piedi incentivi solo per gli impianti più piccoli, il resto è stato cassato, interrompendo così una simbiosi virtuosa che si era instaurata con i produttori agricoli. Il biogas è praticamente scomparso, mentre il biometano avrebbe buone prospettive, se un infinito iter legislativo non avesse fatto arrendere chi voleva creare gli impianti.

Secondo Marangoni «se restiamo fermi alle condizioni attuali, non riusciremo a migliorare le performance realizzate negli anni passati». Se invece si tornasse a favorire le rinnovabili – «che non significa necessariamente incentivi» – si potrebbe arrivare nel 2030 a una percentuale del 50-55% sul totale dell’elettrico.

Lo stesso obiettivo «rinnovabili al 100%», tracciato ad esempio ieri dai Cinquestelle, non sarebbe impossibile per il 2050, magari con tecnologie che ancora non conosciamo: «È il target che si è posta la Danimarca – spiega l’economista di Althesys – Oggi è troppo difficile prevedere da qui a 35 anni, anche se è un obiettivo futuribile. Quello che possiamo dire per certo è che nei prossimi 10-15 anni non potremo sostituire del tutto il termoelettrico. E i sistemi di accumulo delle energie rinnovabili non sono ancora pienamente rispondenti alle esigenze di una completa autosufficienza».

Due le direttrici suggerite alla politica dalla società di consulenza nelle energie e ambiente: «Tornare a bandire nuove aste per l’assegnazione delle tariffe, con la possibilità anche di mettere una quantità di energia direttamente sul mercato, libera per gli scambi, senza passare per il Gse. In altri paesi sono stati sperimentati i cosiddetti Ppa, power purchase agreements, accordi di compravendita di energia tra soggetti privati».

Seconda operazione che sarebbe bene realizzare: «Permettere il riammodernamento degli impianti eolici e idroelettrici, semplificando le procedure autorizzative, oggi scoraggianti per le imprese». Non ci sarebbe bisogno di consumare un metro di nuovo suolo, perché gli impianti, oltretutto più efficienti, sorgerebbero sugli stessi siti di quelli vecchi.

«Oggi in Italia si producono circa 8 giga di fotovoltaico, 9 di eolico, 20-21 di idroelettrico e 2 di biomasse – conclude il professor Marangoni – Credo che le maggiori prospettive di sviluppo le abbia l’eolico, che in pochi anni potrebbe aumentare del 50%, arrivando a 14-15 giga. L’idroelettrico potrebbe crescere fino a 24-25 giga. Il fotovoltaico più che sulle grandi aree industriali potrebbe svilupparsi sugli edifici domestici e commerciali. Infine speriamo finalmente di avviare il biometano».