Li chiamano nativi digitali. Sono ragazzi e ragazze nati quando la televisione era ormai considerato un reperto archeologico. L’aspetto che li contraddistingue è il fatto che la socializzazione al di fuori della famiglia e della scuola è mediata da telefoni cellulari e social network. Facebook,, What’sapp, Ask sono i nomi che ricorrono continuamente nel libro di Howard Gardner e Katie Davis pubblicato da Feltrinelli (Generazione App, pp. 224, euro 18). Il primo autore è un noto psicologo (insegna scienze cognitive alla Harvard University), la seconda è invece docente in Informatica alla Washington University. Gardner è nato negli anni Cinquanta, Davis è invece una sorella maggiore dei nativi digitali. In questo libro cercano di comprendere se l’«immersione» quasi ventiquattrore al giorno nelle tecnologie digitali provochi «disturbi dell’attenzione» e un mutamento delle facoltà di apprendimento.
Il responso non è lineare. Internet e i social network non modificano le facoltà di apprendimento né la capacità di attenzione. I nativi digitali sono umani «multitasking», riescono cioè svolgere più operazioni contemporaneamente. Questo però non coincide con un aumento delle capacità cognitive: i nativi digitali distribuiscono attenzione capacità di apprendimento su dimensione temporale dilatata, al punto che sembrano distratti. Da qui, la necessità di definire un «nuovo» scenario delle relazioni interpersonali. Gardner e Davis avvertono gli «adulti» che devono confrontarsi con un mondo che non è migliore né peggiore del loro, ma solo diverso. Da qui la necessità di sviluppare codici linguistici adeguati alla comprensione dell’universo cognitivo della generazione app. In altri termini, gli adulti devono tornare a studiare per conoscere un mondo a loro spesso sconosciuto.