Si parla, in Occidente, di un islam saheliano alle prese con la minaccia jihadista, eppure, nell’area, il panorama offerto dalla fede è più complesso. Esso appare, in effetti, segnato dall’emergere, a ciclo continuo, di correnti desiderose di confrontarsi con la modernità, ma soprattutto di predicatori che puntano sul proprio potere carismatico, sia per attirare le folle nei giorni delle maggiori festività sacre, sia per imporsi quali personaggi non aggirabili sull’arena pubblica.

L’islam saheliano sembra diventare un prodotto da proporre ai fedeli come un abito da indossare nelle giuste occasioni, che aderisce a una cultura globalizzata e che si traduce in comportamenti coerenti con determinati valori. Gli attori musulmani sono tanti e non si somigliano; conoscono evoluzioni significative che – come sostiene Fabienne Samson (Cahiers d’études africaines n. 206-207) – li iscrivono nell’ambiente di appartenenza. Sebbene siano impregnati di un discorso ideologico forte e si richiamino alla purezza della fede originaria – da applicare nel mondo contemporaneo secondo modalità variabili da caso a caso (o, meglio, da guida religiosa a guida religiosa) – i protagonisti dell’islam africano si rivelano pragmatici. Seguono logiche che adattano al contesto locale, e sviluppano strategie di consenso popolare, con spirito di concorrenza e captazione.

Nel caso del Mali, tali aspetti emergono in forma plateale anche perché, seguito agli avvenimenti nell’Azawad, si sente il bisogno di smarcare la confessione maomettana dal jihadismo imposto dalle correnti salafite estremiste.

Si muove in tal senso l’Haut Conseil Islamique du Mali, riconosciuto come principale istituzione musulmana del paese, interlocutore essenziale del governo. Si pensi che, nel 2009, è stato in grado di bloccare la riforma del codice di famiglia, considerato troppo lontano dalla religione.

Va qui notato che il salafismo (dalla radice araba salaf, antenato; il termine designa anche i compagni del Profeta, al-salaf al-salih) si basa sulla credenza secondo cui le prime generazioni di fedeli avevano seguito gli insegnamenti del Corano e della Sunna (tradizione), senza introdurre innovazioni tacciabili di blasfemia. Come spiega il politologo Ousmane Kane (African Journal of International Affairs n. 11-2), all’interno del salafismo si distinguono due anime. La prima, moderata, riflette il pensiero di Jamaladdin Al-Afghani, Muhammad Abduh e Rashid Rida. Vissuti fra il XIX e il XX secolo, questi intellettuali hanno cercato di costruire un ponte fra l’islam e l’Occidente. La seconda anima del salafismo, più radicale, ha rielaborato le concezioni del teologo Abd Al-Wahhab (XVIII secolo), per metterle al servizio di gruppi di lotta (anche armata), detti wahhabiti e talebani, che propugnano un’interpretazione letterale e de-storicizzata del Corano, così come la creazione di stati retti dalla sharia.

È cruciale aggiungere che l’islam maliano deve fare i conti con una componente antica e di matrice autoctona: quella rappresentata dalle confraternite sufi. Espressione della mistica musulmana, le confraternite s’ispirano alle gesta di un santo fondatore, cui è attribuità la facoltà di compiere miracoli e di trasmettere ai suoi eredi spirituali la benedizione divina. Al sufismo si legano un fede sincretica e il ricorso a pratiche magiche o di stregoneria.

Sia come sia, nel 2014 si rinnoveranno i vertici dell’Haut Conseil Islamique du Mali, presieduto dal 2008 da Mahmoud Dicko, con la collaborazione di due vice-presidenti: lo Chérif de Nioro e lo Chérif Ousmane Madani Haïdara. Il passaggio di consegne influenzerà inevitabilmente la politica nazionale e si rifletterà sul cammino di riforme che il Mali ha intrapreso.

Nel corso del mio recente soggiorno a Bamako, ho avuto l’opportunità d’incontrare sia Mahmoud Dicko, imam alla moschea sunnita riformata di Badalabougou ed ex segretario generale dell’Association Malienne pour l’Unité et le Progrès de l’Islam, sia Chérif Ousmane Madani Haïdara, guida spirituale malekita, fondatore del movimento Ançar Dine (I difensori della fede, da non confondere con l’omonima milizia jihadista).

I due leader insistono sul loro ruolo spirituale, ma nessuno ne disconosce il potere temporale. Entrambi si dichiarano indisponibili all’elezione per la carica di nuovo presidente dell’Hcim, ma per ragioni differenti. Mahmoud Dicko ha perso molto del consenso di cui godeva, anche perché, durante un meeting di preghiera, nel pieno della crisi in Azawad (2012), si è lanciato in una filippica anti-governativa, tesa a invocare la via del dialogo con l’opposizione armata nel nord. Il gesto è stato interpretato come un’ingerenza. La sua lenta marginalizzazione ha avuto conferma durante la visita, nel febbraio 2014, del re del Marocco. Al contrario di Haïdara, Dicko non è stato coinvolto in alcun evento ufficiale in onore di Mohamed VI.

Nell’intervista rilasciatami, svolta nell’abitazione di Dicko, il leader spirituale si è soffermato su questioni sociali, come il problema dei talibés, gli allievi delle scuole coraniche itineranti, costretti dai loro maestri a mendicare nelle strade e ridotti ad una condizione di semi-schiavitù. Il dramma di questi bambini, sotto gli occhi di tutti, è stato denunciato da Dicko come un abuso intollerabile per l’islam.

Diverso il tono di Chérif Ousmane Madani Haïdara, che ho conosciuto nel quartiere periferico di Banconi, da lui trasformato in roccaforte e dotato di un’imponente moschea, di un ospedale per i poveri e di una scuola coranica. Haïdara insiste sia sul ruolo sociale del suo movimento (che conta 100.000 iscritti e sezioni negli stati limitrofi), sia sulla necessità di preservare la religione in Mali da condizionamenti esterni, anche di ordine economico, specie se provenienti dalla Penisola Arabica. Accoglie con apparente modestia il flusso permanente di devoti, appartenenti ad ogni ceto, che si rivolgono a lui e ne sostengono le iniziative. Gode di un’aurea di sacralità invidiabile e sa di essere all’apice di una carriera che si è costruito con anni di paziente lavoro. Difende un islam popolare, che denuncia la corruzione dei potenti e tenta di rispondere ai bisogni degli umili, per questo non si espone in modo palese sul fronte politico ma, proprio la sera del nostro incontro, ha ricevuto un ministro che poi ha preferito mantenere l’anonimato.