Mehdi Rajabian offre la sua personale risposta all’eterno quesito: perché l’uccello in gabbia canta? Poco importa che di canto, a parte sporadici vocalizzi, in questo suo nuovo progetto non ve ne sia traccia. In assenza di parole e concetti a cui attaccarsi, qualsiasi censura scivolerebbe sulle levigate improvvisazioni strumentali e i ricami di setar che compongono Middle Eastern. Un titolo neutro, Mediorientale, come i brani che si limitano a indicare un luogo sulla mappa della regione: Iran, Turkey, Yemen, Iraq & Palestine eccetera, a disegnare una linea continua che ha i suoi estremi in Egitto e in Tajikistan.

Anche nel Brasile dei militari ci fu un boom di musica strumentale, ma qui non c’è l’intento di eludere, tanto più che in Iran Rajabian rischia l’arresto a prescindere, visto il daspo a vita dagli studi di registrazione che pesa sul suo capo. Qualche scrupolo in più varrebbe per la Turchia, per almeno due momenti “scabrosi” che il progetto contempla e per il fatto che il disco è prodotto dalla divisione turca della Sony.

Zehra Dogan, “Tajikistan”

In Middle Eastern è impossibile travisare la realtà di un folto gruppo di artisti provenienti da una dozzina di paesi della regione, uniti dalla sorte avversa a cui il loro semplice “fare musica” sembra condannarli. O condannati a creare musica in contesti estremi: in cella – dove nasce il grosso del “catalogo” di Rajabian – e sotto le bombe, cercando asilo o sfidando una dittatura oscurantista.

Musicisti che non si sono mai incontrati, ma che Rajabian ha messo in rete, al lavoro, rendendoli partecipi con un fitto interscambio di file del suo neo-folk immaginario, in cui la cruda realtà viene espressa su un piano che non ha più bisogno di parole. Lo stesso su cui si muove l’artista curda Zehra Dogan, incarcerata per aver twittato i suoi acquerelli sulla guerra di Erdogan, che illustra tutto il progetto, brano dopo brano.Un’avanguardia del seguito immaginato per tutto il progetto, con il coinvolgimento di artisti di diverse discipline, dalla danza alla fotografia al teatro. E ancora tanta musica.

L’organizzazione Freemuse, che documenta i casi di censura musicale nel mondo e ha svolto un ruolo attivo anche nella campagna per la scarcerazione di Rajabian, certifica nel 2018 tra gli artisti imprigionati per le loro opere i musicisti sono maggioranza, circa il 40% del totale.