Visioni

I moti dell’occhio e del cuore tra Bausch e Papaioannou

I moti dell’occhio e del cuore tra Bausch e PapaioannouDamiano Bigi e Lukazs Przytarski in «Un discreto protagonista» – foto di Fabio Melotti

A teatro Damiano Bigi - in scena ad Anghiari insieme a Lukazs Przytarski con «Un discreto protagonista» - racconta l’esperienza con i due grandi coreografi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 23 aprile 2022
Gianfranco CapittaANGHIARI (AREZZO)

Va in scena stasera, al Teatro di Anghiari, una nuova tappa di lavoro di Un discreto protagonista, spettacolo di danza che dopo alcune date di «messa a punto», debutterà ufficialmente in autunno a Torinodanza. Con la regia e la drammaturgia di Alessandra Paoletti (diploma alla Silvio D’Amico, e poi esperienze in diversi generi di spettacolo), la performance vede insieme due danzatori alle prese con una serie di interrogativi scientifici, oltre che «esistenziali». Sono Damiano Bigi e Lukasz Przytarski, uno italiano e l’altro polacco, che sono stati di recente tra i protagonisti di Transverse Orientation, l’acclamato e coinvolgente lavoro di Dimitris Papaioannou molto applaudito anche in Italia lo scorso anno.

Ma Bigi (40 anni, romano, formazione danza classica fin da tenera età, poi passato attraverso i lavori e la scuola dei maggiori maestri europei, senza tralasciare le forme orientali fino al butoh di Kazuo Ohno) ha vissuto anche l’esperienza fondamentale del Tanztheater di Pina Bausch, apprendendo e danzando con lei (dal 2004 al 2009, anno in cui l’artista tedesca è deceduta) ma restando ancora per anni nella compagnia, fino all’incontro con Papaioannu che con la troupe Bausch ha realizzato l’affascinante Since she (unico passaggio italiano, Catanzaro).

E un giorno mi sono presentato a Wuppertal, dove avevo saputo che Pina cercava elementi maschili per le nuove produzioni. Avevo 22 anni, e andai solo per conoscere meglio quell’ambiente, pensando che lei cercasse persone con molta più esperienza di me

IL DANZATORE possiede quindi un doppio «tesoro» nella propria formazione, ovvero l’aver lavorato e appreso da due maestri certo assai diversi, ma di sicuro i più riconosciuti e acclamati degli ultimi decenni, uniti anche dalla particolarità di non potersi definire nessuno dei due semplicemente «coreografo». Sono figure che usano, ognuno a suo modo, strumenti di indagine e comunicazione che vanno al di là della pura performance fisica, per quanto virtuosa.
Per questo vale la pena di chiedere a Damiano Bigi per quale via, e scelta, sia arrivato a lavorare, prima con Bausch e poi con Papaioannou. «Non avevo dieci anni quando ottenni dai miei di poter frequentare la scuola di danza dell’Opera di Roma, e solo pochi anni dopo questa organizzò un soggiorno di formazione di un gruppetto di allievi in Francia dove si studiava e si apprendeva la danza, ma c’era anche chi studiava musica o sport. Crescendo ho cominciato a frequentare diversi centri di danza preparandomi al mio futuro di danzatore. E un giorno mi sono presentato a Wuppertal, dove avevo saputo che Pina cercava elementi maschili per le nuove produzioni. Avevo 22 anni, e andai solo per conoscere meglio quell’ambiente, pensando che lei cercasse persone con molta più esperienza di me. Non fu un’audizione tradizionale: lei, pur essendo molto rispettosa e garbata, cercava di capire, dietro le mie difese, la mia personalità, il mio spessore interiore, quasi più che la professionalità.È stata un’esperienza davvero unica, non un tradizionale provino. Eravamo circa 150 aspiranti, dopo un paio di settimane ci richiamarono in una quindicina, e ci presero in due, me e un danzatore spagnolo che lavora ancora a Wuppertal».

A QUEL PUNTO Bigi è entrato nella produzione a Nuova Dehli di Bamboo blues, e nei pochi anni successivi ha avuto un ruolo forte nella ripresa di diversi spettacoli Bausch precedenti, richiestissimi in tutto il mondo. Ma curiosamente, dopo aver lasciato la compagnia, il danzatore (e ormai performer) ha incrociaciato la strada di un altro «non—coreografo», ovvero che cercava, usando anche la grammatica della danza, una comunicazione più profonda e totale con il suo pubblico. E quindi con i propri artisti. «Avevamo conosciuto Papaioannou ad Atene quando ci andavamo in tournée, lui sempre gentile non solo assisteva agli spettacoli ma ci portava in visita a monumenti e a musei. Quando ha cominciato a provare il nuovo spettacolo, lungo due anni obbligati dalla pandemia, mi sono presentato alle audizioni, e lui mi ha preso per Transverse Orientation, come anche altri, ad esempio la protagonista femminile, anche lei proveniente dal Tanztheater di Wuppertal».

Se devo trovare un elemento comune nel loro modo di operare, certamente è la dedizione al lavoro, ma anche la capacità di passare dalla dimensione della danza e del movimento alle cose concrete del teatro

E PROSEGUE: «Se devo trovare un elemento comune nel loro modo di operare, certamente è la dedizione al lavoro, ma anche la capacità di passare dalla dimensione della danza e del movimento alle cose concrete del teatro, a una dimensione in cui il corpo e i suoi gesti parlano meglio che un discorso. Anche se poi lui è ispirato innanzitutto da Bob Wilson e dalla sua maestria nel creare geometrie e movimenti che parlano. Pina invece era capace attraverso i gesti di costruire veri sentimenti, un’altra dimensione, filtrata attraverso il suo sguardo. Con Dimitris invece è il lato plastico a prevalere, per cui bisogna capire qual è l’immagine che lui sta creando. E riuscire a non disturbarla. Altrimenti rischi di apparire un robot… Quindi massima attenzione e precisione in scena. Con Pina invece dovevi seguire con attenzione le sue richieste per il suo racconto, ma sapendo che quel racconto era basato su di noi e su quello che lei aveva scoperto dentro di noi: le nostre storie, le nostre domande, le improvvisazioni che ne nascevano. Con Papaioannou invece si entra proprio nel suo mondo, per cui bisogna entrare con la gamba messa in un modo, e col piede in quell’altro. Come se tu stessi costruendo un dipinto, di cui è lui l’autore. E allora bisogna costruire quei corpi con la gamba di uno, il braccio di un altro, e il busto di un altro ancora. Dobbiamo dar corpo a quadri che lui ha in testa, e che va costruendo e rifinendo nelle prove e in palcoscenico, crescendo e arricchendosi durante le repliche nelle lunghe tournée. In una ricchezza di luci e di dettagli che lungo le repliche trasformano e arricchiscono lo spettacolo. Pina invece accoglieva nelle repliche di uno spettacolo quei particolari (fantasie sguardi gesti) sapendo che era il tuo patrimonio interiore, che tu mettevi in gioco, ed in comune col pubblico».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento