Entrata in produzione nella primavera del 2001, 24 era stata concepita dal produttore di origini lituane Joel Surnov (un ex sceneggiatore di Miami Vice e creatore delle serie Nikita) quando nessuno avrebbe mai immaginato che, servendosi di quattro aerei di linea, un gruppo di seguaci di Al Qaeda stavano per infliggere agli Usa il peggior attentato terroristico della storia. Eppure, fin dalla messa in onda della prima puntata, il 6 novembre 2001, e per tutte le cento novantuno che l’hanno seguita in un arco di nove anni, 24 è stata indissolubilmente legata ai fatti e all’immaginario dell’11 settembre.

L’ambientazione da thriller politico/spionistico internazionale, la trovata del tempo reale, scandita dall’inesorabile presenza dell’orologio sullo schermo (in 24 il tempo non si fermava nemmeno durante le pubblicità!), il senso costante di minaccia amplificato dall’uso dello split screen, il susseguirsi di complotti sempre più pericolosi e altrettanto fantastici ai danni degli americani e del loro way of life, la galleria di pendagli da forca provenienti da un asse del male di paesi scellerati, il rituale immancabile delle scene di tortura…per otto stagioni consecutive, in un crescendo iperbolicamente barocco, 24 aveva tutti gli ingredienti di una ride da parco a tema dell’era Bush-Cheney.

Oggi i suoi produttori si vantano di aver anticipato il primo presidente nero (David Palmer, interpretato da Dennis Haysbert, alla Casa bianca per le stagioni 2 e 3, veniva ucciso nella quinta) e auspicato quello donna (Cherry Jones, aka Allison Taylor, eletta nel corso dell’episodio speciale di due ore Redemption, e in carica per le ultime due stagioni), ma politicamente parlando la serie era tutt’altro che progressista: Surnov non ha mai fatto mistero di simpatizzare con posizioni repubblicane e libertarie (si è definito un isolazionista e un nemico del nation building) e il giudice conservatore Antonin Scalia trovava esemplari le tecniche d’interrogatorio dell’agente Jack Bauer.

Infatti, quelle torture televisive erano così efficaci che, nel 2007, il preside dell’Accademia militare di West Point, insieme a un gruppo di esperti del Pentagono, richiese un incontro con i produttori di 24 per sensibilizzarli sull’effetto preoccupante che la serie stava avendo sui cadetti militari e sui soldati che approdavano in Iraq e Afghanistan. Secondo Tony Langouranis –ex «interrogatore» dell’esercito Usa ad Abu Ghraib «Tutti i soldati volevano emulare la versione hollywoodiana degli interrogatori, diventare Jack Bauer». A seguito dell’incontro, il produttore esecutivo di 24, Howard Gordon, partecipò a Primetime Torture, un video realizzato da Human Rights First e indirizzato agli istruttori militari ai fini di sottolineare le differenze tra la tortura come rappresentata nella fiction tv e quella reale.

E, nelle stagioni numero sette e otto – fittissime di spericolate acrobazie drammatiche nonostante fossero quasi esclusivamente giocate nei set unici della Casa bianca e del grattacielo dell’Onu a New York- lo show subì degli assestamenti per essere più in sintonia con il nuovo spirito del tempo, che sarebbe stato segnato anche dall’arrivo di un diverso occupante della Casa bianca, nel gennaio 2009.

La settima stagione (o il settimo giorno) iniziava infatti con Jack Bauer costretto a difendere il suo modus operandi di fronte a una commissione speciale del Senato. In un confronto tra «politici» e uomo d’azione, le simpatie del pubblico vanno però inevitabilmente al secondo – perché Bauer discende dall’archetipo dell’eroe solitario, allergico alle inflessibilità del sistema, capace di assumersi il peso (anche morale) del «lavoro sporco», un personaggio in linea con quelli spesso incarnati da Clint Eastwood e John Wayne. «Abbiamo fatto talmente tante cose nel nome della protezione del nostro paese che si sono venuti a creare due mondi –il nostro e quello delle persone che abbiamo promesso di proteggere» era infatti la sua realistico/malinconica riflessione sul «nuovo corso».

Ambientato quattro anni dopo gli eventi dell’ottava stagione, 24: Live Another Day, l’attesissimo ritorno della serie (ma solo per 12 episodi) che andrà in onda in Usa a partire da lunedì, apre infatti con Jack Bauer nascosto a Londra, ancora una volta ricercato dal suo stesso governo. I produttori, e Kiefer Sutherland qui accanto, hanno anticipato che la trama toccherà anche temi d’attualità come i droni e la sorveglianza della Nsa… Difficile prevedere come sarà accolta questa resurrezione (orchestrata dopo il fallimento del progetto di fare un film da 24). Nei quattro anni dell’esilio di Jack Bauer, la molto meno spregiudicata, e più politically correct, Homeland è diventata d’ufficio «la» serie tv che esplora i temi del terrorismo e i segreti dark della politica estera Usa.

http://youtu.be/b1JtkqrTsU0

Anche Obama è un fan… Che 24 sia stato uno degli show a gettare le basi della Golden Age che la tv americana sta attraversando in questo momento è comunque un dato di fatto. Scritturando una nota star del cinema come protagonista, utilizzando valori di produzione e un linguaggio visivo (aerei che precipitano, ordigni nucleari che scoppiano, location esotiche, inseguimenti rocamboleschi…) che sapevano non di piccolo ma di grande schermo, portando la controversia politica nella fiction di prima serata, 24 ha non solo traghettato il serial hollywoodiani alla Perils of Pauline (una serie in 20 episodi del 1914 diretto da Louis J. Gasnier) nel terzo millennio, ne ha riscritto le regole.

Grazie alla contrazione estrema tra unità temporale e colpi di scena drammatici, è stata, insieme a The Sopranos, una delle primissime produzioni che si sono rivelate irresistibili in versione cofanetto dvd – un precursore del binge viewing che oggi caratterizza il consumo di prodotti come House of Cards o Breaking Bad. George W. Bush e Dick Cheney sembrano adesso due figure di un passato abbastanza lontano, ma la paranoia tanto spensieratamente promossa negli anni del loro governo, e così ben cristallizzata da 24, attraversa come una corrente elettrica tutto il palinsesto TV contemporaneo. Serie come The Black List (James Spader è un ultracriminale che fornisce all’Fbi una lista dei peggiori maniaci del globo – a ognuno dei quali è dedicata una puntata), The Following (un serial killer alla Lecter crea un culto di seguaci assassini), Hostages (la famiglia del chirurgo della Casa bianca viene presa in ostaggio da una cellula impazzita dell’Fbi) o Crisis (un gruppo di terroristi rapisce d’un colpo solo tutti i figli dei potenti d’America, presidente incluso, e inizia a ricattarne i genitori, uno per uno) sembrano scaturite da una darkness analoga a quella di 24.

Ed è la sua lettura cupa, apocalittica, senza speranza, di ciò che succede nei corridoi del potere, non quella solare, un po’ idealista, riflessa nella clintoniana The West Wing, che è stata tramandata agli show sulla Washington di oggi – da House of Cards al soappissimo Scandal, alla commedia di Veep e al brillante viaggio nel tempo della guerra fredda reaganiana di The Amerikans. Jack Bauer torna ufficialmente la settimana prossima. Ma in realtà non se ne è mai andato