Si parla di globalizzazione, di città globali, di modernità, di diritti umani ma spesso la sociologia sembra assente, chiusa in piccole ricerche e sondaggi autoreferenziali. Vittorio Cotesta, invece, osserva la società in una prospettiva storica, allargando l’orizzonte ad altre civiltà e ora ci propone una opera magna, ambiziosa: The Heavens and the Earth. Graeco-Roman, Ancient Chinese, and Mediaeval Islamic Images of the World, (Brill, Leiden-Boston). Il Cielo e la terra indaga la genesi e la struttura dell’immagine del mondo propria della civiltà greco-romana, cinese antica e islamica medievale. Queste immagini raffigurano ciò che quelle società sono, sono state e vorrebbero essere, esprimendo la loro identità.

Qual è la motivazione che l’ha accompagnata lungo tutto il percorso della sua ricerca?
Per comprendere il futuro occorre allargare il nostro sguardo. Dobbiamo studiare la vita intima delle persone e, nello stesso tempo, inserirle quelle esistenze in prospettive storiche di lungo periodo. Abbiamo bisogno del microscopio per il primo tipo di studi; del telescopio per il secondo. Il microscopio permette di cogliere il dettaglio; il telescopio conferisce profondità allo sguardo. La mia ricerca osserva le civiltà nel lungo periodo. Solo così si può evitare di prendere il presente come l’unica realtà possibile.

Vittorio Cotesta

Può indicare i modelli interpretativi a cui si è ispirato?
Max Weber, in primo luogo: la Sociologia della religione; al suo allievo Karl Jaspers; a Ferdinand Braudel e, sebbene in modo più indiretto, a Marx e Hegel. Ho cercato di fondere questi diversi approcci per mettere in luce la rilevanza dell’Altro nella costruzione delle identità personali, sociali, religiose e politiche. Questo è presente in ognuna delle tre civiltà, ognuna infatti ha il suo Altro necessario, amico e nemico, ma tuttavia sempre essenziale per la formazione della propria identità.

Nell’addentrarsi nella sua ricerca, quale metodo ha privilegiato?
Mi sono posto una domanda di carattere generale: come si forma l’essere umano in quanto ente universale? E quali sono le strutture sociali, culturali, religiose e politiche che favoriscono la costituzione dell’individuo e l’affermazione delle civiltà? Ho sviluppato la ricerca mediante una serie di analisi comparative.
Le tre civiltà sono studiate come fossero tre casi diversi ma, nello stesso tempo, ho cercato di far emergere come vedono e/o risolvono le questioni essenziali della loro esistenza. In generale, l’analisi ha riguardato la concezione dell’universo e della natura (origine e struttura), l’immagine della divinità e il modo di rapportarsi con essa, l’immagine del mondo umano (l’oikoumene), la forma della società, la visione dell’uomo e della donna, la concezione del potere. Ho studiato questi problemi attraverso l’analisi degli intellettuali più importanti (le «vette») di ogni civiltà: astronomi, geografi, teologi, filosofi, storici e, quando è stato necessario, ho fatto qualche incursione nella poesia, nella narrativa e nel teatro.

Quali sono i principali risultati di questa analisi comparativa?
Sono partito dallo studio della prima età assiale, ottavo-secondo secolo a. C., quando si è formato – come dice Jaspers – l’uomo com’è attualmente. In quel periodo sono stati costruiti i paradigmi fondamentali per concepire il mondo. Alcuni di questi, nonostante le enormi differenze, sono attivi ancora oggi. In concreto, ho cercato di mostrare come il mondo greco-romano e quello cinese, al loro inizio geograficamente e socialmente limitati, hanno costruito una propria concezione universale dell’umanità. L’apice di questo processo è raggiunto nel periodo della formazione degli imperi. Da allora, si è di fatto edificata una società globale antica, comprendente tutto il mondo da loro conosciuto (l’ecumene globale). Ne è prova la ricerca che gli uni fanno degli altri per entrare in una qualche relazione. Al tempo degli imperatori Antonini (Marco Aurelio o Lucio Vero) tra Roma e la Cina vi sono state ambasciate dall’una e dall’altra parte.
La formazione e la diffusione dell’immagine «islamica del mondo», sebbene avvenuta nel millennio successivo, può essere interpretata con lo stesso metodo. Per fare questo ho dovuto dare un significato più generale alla teoria della «rivoluzione assiale» di Jaspers e intenderla come un processo di cambiamento delle premesse religiose, cognitive, morali e sociali di una civiltà. Nell’Islam la versione universale dell’essere umano raggiunge il suo apice nel periodo della formazione del califfato, praticamente l’equivalente dell’impero romano o cinese.

Si possono definire tratti comuni – e anche differenze – fra le immagini del mondo prodotte da queste tre civiltà?
Sono, in primo luogo, visioni del mondo plurali al loro interno. Hanno basi comuni, ma anche diverse coniugazioni e risoluzioni dei medesimi problemi. Si pensi solo ai differenti islam. In tutte e tre le civiltà vi è una pluralità di concezioni dell’universo. Questi mondi, plurali al loro interno, appaiono però omogenei, se confrontati agli altri mondi e alle altre società. Il mondo greco-romano è plurale, così come lo è il mondo cinese antico. Se comparati l’uno con l’altro, invece, essi sembrano monoliti, blocchi compatti e coerenti. Solo l’analisi interna può mostrare che sono mondi plurali e che su determinate questioni vi sono convergenze inaspettate tra correnti di pensiero dell’una e dell’altra civiltà. Da questo punto di vista, per esempio, è sorprendente la vicinanza del confucianesimo e del platonismo.
Più complesso è il discorso sull’Islam. Qui, le «vette» più importanti dell’elaborazione intellettuale partono dalla rivelazione ad opera di Maometto. Questa base comune, però, è utilizzata diversamente dai pensatori che si ispirano alla filosofia greca (Platone, Aristotele, Plotino) e da quelli che accolgono il misticismo sufi. Inoltre, la via «orientale» alla costruzione dell’immagine islamica del mondo è diversa da quella «occidentale» che si svolge nel Maghreb e nella Penisola iberica. Tutte insieme, però, esprimono differenze notevoli, se paragonate alla visione cinese antica e greco-romana del mondo. In nessuna delle tre civiltà, infine, l’essere umano è inteso come un ente «naturale» ma è il risultato dell’opera della società e del lavoro individuale. Uomini non si nasce, si potrebbe dire; uomini si diventa nella società.

Il dialogo tra le civiltà è sempre complesso. Come contribuire, pur nella diversità tra quei mondi e il nostro?
I fondamentali sono ancora gli stessi, nonostante le trasformazioni. La conoscenza di queste civiltà – delle loro origini, dei problemi cui hanno dovuto fare fronte; i successi e le sconfitte – dovrebbe indurre le donne e gli uomini del XXI secolo alla prudenza nell’affrontare le questioni attualmente imprescindibili dell’umanità.