Quello dei social è un mondo edulcorato, popolato per lo più di sorrisi, di esperienze leggere, serene, di quello che vorremmo essere e vedere. Sulle home di Facebook, Instagram, sugli stessi motori di ricerca di rado compaiono sangue, violenza o morte. Anche la ferocia dei leoni da tastiera ha vita breve e le poche immagini forti sono introdotte da un avviso. Tutto ciò grazie al lavoro dei moderatori di contenuti, che, in seguito a segnalazioni da parte degli utenti, visionano ed eliminano le foto, i post, i video, i commenti che violano il regolamento della piattaforma perché troppo aggressivi, violenti o, peggio, truci.

NE PARLA IL LIBRO di Jacopo Franchi Gli obsoleti, edito da Agenzia X (pp. 288, euro 15). «In un mondo dove gli algoritmi possono rendere virale la diretta streaming di un concerto come quella di un attentato terroristico, un’immagine di nudo artistico come la prova fotografica di un abuso sessuale, un prodotto accompagnato da recensioni veritiere come un prodotto accompagnato da recensioni manipolate, i moderatori di contenuti svolgono un ruolo essenziale per rimediare agli errori di selezione compiuti da macchine automatiche», scrive l’autore, social media manager e osservatore dei fenomeni virtuali. Le insidie sarebbero dovunque, se non fosse per i moderatori, dediti a ripulire la rete dalle nefandezze umane.

Primo libro in Italia sull’argomento, Gli obsoleti ha il merito di gettare luce su un tema soltanto sfiorato dalla stampa italiana e, al contrario, già battuto nel mondo anglosassone. Le inchieste uscite negli Stati Uniti si fondano sulle confidenze dei pochissimi ex-moderatori decisi a denunciare le condizioni di lavoro. Questi, infatti, firmano un accordo di riservatezza molto rigido, per cui non possono parlare di ciò che fanno a nessuno, nemmeno a grandi linee. Spesso la loro esistenza è sconosciuta perfino ai colleghi di altri settori. Negli annunci di lavoro sono vaghi e indefiniti: cercasi «contractors», «community operations team members», «social media analyst», «legal removal associate». Fa leva il nome dell’azienda: Google, Facebook, Tik Tok, Youtube o qualcun altro della Silicon Valley.

LE ASSUNZIONI si svolgono poi a livello internazionale e gli uffici sono dislocati in tutti i continenti, affinché qualcuno vigili sugli schermi 7 giorni su 7, 24 ore su 24. Durante un turno di lavoro, il moderatore medio gestisce circa 1300 segnalazioni, a cui deve reagire in pochi secondi per smaltire i contenuti accumulati in coda. Per andare in bagno ha il tempo cronometrato e la sua paga si aggira intorno ai 10-15 dollari l’ora, all’equivalente nei Paesi non occidentali. «Il lavoro di moderatori offre ad anziani, giovanissimi, migranti, donne nel pieno dell’età fertile, persone con disabilità motorie, genitori single e persone con alle spalle un passato difficile un ritorno a un ruolo attivo nella società», si legge ne Gli obsoleti. Un ruolo che molti pagano a caro prezzo, spesso con il disturbo da stress post-traumatico. Nel frattempo, con la loro invisibilità, alimentano il mito della macchina. Sempre più vivo al di qua dello schermo.