Quando sentiamo parlare dei Maori, il nostro pensiero vola sui campi di rugby dove la squadra All Blacks, formata da nativi della Nuova Zelanda, si esibisce con le colorite danze Haka prima di distinguersi nel gioco a livello internazionale, per abilità, forza e coesione di gruppo. Oppure ricordiamo il film del 1994, Once were warriors di Lee Tamahori, che racconta le contraddizioni del proletariato indigeno, in bilico fra tradizione guerriera, violenza domestica, alcolismo e disgregazione sociale.
È facile immaginare lo stupore dei Maori, o dei popoli melanesiani arrivati prima di loro, quando approdarono con le canoe sulle coste della Nuova Zelanda e videro dei giganteschi uccelli privi di ali che pascolavano sul terreno.
I Maori chiamarono questi uccelli «moa», parola che nella loro lingua significa gallina. Abituati a trattare con ratti, cani di piccola taglia, galline e gabbiani, questi navigatori del Pacifico non avevano mai visto animali terrestri grandi come i moa. Questi uccelli, di cui esistevano nove specie diverse, possono essere paragonati a degli enormi struzzi: erano alti fino a 3,5 metri e potevano pesare circa 250 kg!
Ma da dove venivano i Maori e perché si erano spinti così verso Sud, nella terra più remota del pianeta? E da dove venivano i moa, come avevano fatto a raggiungere isole così lontane, senza poter volare? L’antropologia e la biogeografia della Nuova Zelanda sono piene di segreti che né la paleontologia né lo studio del Dna sono ancora riusciti a svelare.

La colonizzazione

La Nuova Zelanda è un arcipelago formato principalmente da due grandi isole, chiamate North e South Island, la cui superficie è leggermente minore di quella delle Isole Britanniche. Essendo molto lontana dai continenti (circa 2000 km dalle coste dell’Australia), è stata scoperta dall’uomo soltanto dopo l’anno 1000, in particolare da popoli melanesiani e polinesiani di diverse etnie, arrivati con piroghe o piccole imbarcazioni a vela. I Maori, di stirpe polinesiana, sarebbero arrivati a diverse ondate fra il 1200 e il 1350, eliminando i primitivi melanesiani o in parte fondendosi con essi.
Fra tutti i popoli polinesiani, sono quelli che si sono spinti più a Sud, colonizzando territori sottoposti a clima temperato o temperato freddo come la parte meridionale di South Island. Simili agli abitanti delle Hawaii e dell’Isola di Pasqua, i Maori hanno corporatura massiccia e altezza medio-alta. Le caratteristiche fisiche e il Dna suggeriscono un’origine comune per tutti i popoli navigatori dell’Oceania, che sembrano provenire dai paesi dell’Estremo Oriente. Infatti, in seguito all’esplosione demografica dei popoli cinesi e mongoli, durante il primo millennio d.C., molti gruppi etnici asiatici furono costretti ad emigrare prendendo la via del mare. Taiwan, le Filippine, le isole giapponesi e Tahiti furono importanti tappe delle loro rotte di dispersione attraverso l’Oceano Pacifico.
I primi colonizzatori della Nuova Zelanda trovarono una terra senza mammiferi (a parte qualche pipistrello), dove gli uccelli erano i vertebrati dominanti, seguiti da poche specie di lucertole e rane. Molte specie di uccelli, piccoli e grandi, avevano perso la capacità di volare a causa dell’assenza di mammiferi e non avevano una paura innata dell’uomo.
Inizialmente, essendo popoli del mare, i polinesiani si stanziarono lungo le coste dedicandosi alla pesca e allo sfruttamento di molluschi, otarie e pinguini. In seguito, l’esplorazione delle zone interne li portò a diventare cacciatori di uccelli, soprattutto di quelli incapaci di volare, che venivano facilmente uccisi con le lance o catturati con trappole a caduta, per poi essere utilizzati sia come cibo sia per fabbricare vestiti. Infatti, nell’Eden tropicale dell’Oceania, i polinesiani vivevano quasi nudi, salvo qualche indumento ornamentale o simbolico; arrivati in Nuova Zelanda, dovettero però modificare i loro costumi per adattarsi al clima più freddo delle latitudini meridionali e impararono a coprirsi con pellicce di moa o di otarie.
Nel giro di due secoli, gli uccelli incapaci di volare iniziarono a estinguersi, compresi i giganteschi moa, a causa della pressione venatoria umana. Quando nel 1350 ci fu la maggiore ondata d’immigrazione dei Maori in Nuova Zelanda, quasi tutte le specie di moa si erano già estinte, salvo alcune rimaste nelle parti più remote della South Island. Nei secoli successivi, l’estinzione dei moa divenne totale, anche se non sappiamo precisamente fino quando sopravvissero gli ultimi esemplari. Anche se esistono testimoni che giurano di aver visto dei moa ancora nel secolo XIX, l’ipotesi più plausibile è che tutte le specie siano scomparse alla fine del XVI secolo, quindi prima della colonizzazione inglese.

Un cane per nemico

Molto probabilmente, l’estinzione dei moa venne accelerata dalla raccolta delle uova che questi uccelli deponevano sul terreno e che rappresentavano una risorsa alimentare facilmente accessibile per l’uomo. Inoltre, i Maori importarono in Nuova Zelanda due mammiferi: il ratto e il cane. Il primo era un passeggero clandestino che si nascondeva nelle loro canoe, mentre il secondo era già considerato un ausiliario dell’uomo, anche se legittimato a vivere ai margini dei villaggi. Per alimentarsi, questo carnivoro scorrazzava in piccoli branchi nel territorio tribale ed è stato un ulteriore fattore di minaccia per gli uccelli atteri, contribuendo alla loro estinzione. Va considerato che, prima dell’arrivo dell’uomo, i moa erano uccisi soltanto dall’aquila gigante, adattata a predare i loro piccoli. Questa era il più grande uccello rapace vissuto sulla Terra e pesava fino a 15 kg. Anche l’aquila gigante si estinse nei secoli passati, probabilmente a causa della scomparsa dei moa, che erano la sua fondamentale risorsa trofica.
Con l’estinzione di massa degli uccelli neozelandesi, la vita dei Maori peggiorò notevolmente. Incapaci di sostenersi completamente con un’economia agricola, in una terra dove le condizioni climatiche non erano certo ottimali per le piante di origine tropicale che avevano portato con sé, i Maori divennero popoli guerrieri e iniziarono a competere per le risorse attraverso le guerre tribali. Tali guerre furono molto cruente, a tal punto che il cannibalismo sui vinti divenne un’usanza assai diffusa fino al periodo in cui la colonizzazione inglese e il cristianesimo si consolidarono nell’arcipelago.

Le antiche origini

Uno degli argomenti ancora molto dibattuti fra gli zoologi è l’origine dei moa. Duecento milioni di anni fa, all’inizio dell’Era Mesozoica, la Nuova Zelanda si trovava attaccata all’Antartide, nell’antico continente Gondwana, di cui facevano parte anche India, Australia, Madagascar, Africa e Sudamerica. Il paesaggio era un mosaico di savane e foreste dominate da dinosauri e altri rettili da cui lentamente emergevano gli antenati degli uccelli e dei mammiferi.
All’interno dei dinosauri, si delineò un gruppo di uccelli primitivi detti Paleognati, che condividevano una particolare conformazione del cranio. All’inizio dell’Era Cenozoica, circa 70 milioni di anni fa, quando i continenti si erano ormai separati, l’isolamento genetico portò alla formazione di diversi gruppi di paleognati: gli struzzi in Africa, gli uccelli elefante nel Madagascar, gli emù e i casuari nella Regione Australiana, i nandù e le martinette nel Sudamerica, i kiwi e i moa nella Nuova Zelanda. Soltanto gli uccelli elefante e i moa si sono estinti, gli altri sono ancora esistenti.
La ricostruzione dell’albero genealogico (filogenesi) fra i diversi gruppi di paleognati è ancora oggetto di intenso dibattito fra gli zoologi, attraverso approcci integrati di biologia evoluzionistica basati su tecniche morfologiche e molecolari. Secondo alcuni autori, i moa sono strettamente imparentati con i kiwi, che quindi sarebbero dei «moa nani», ancora viventi, adattati all’ambiente forestale. Sempre secondo la stessa teoria, moa e kiwi discenderebbero da un antenato in comune con i casuari e gli emù della Regione Australiana. Secondo una teoria più recente, invece, i moa sarebbero direttamente imparentati con le martinette del Sudamerica, uccelli di forma e dimensioni simili alle pernici, che sono gli unici paleognati viventi ancora capaci di volare. Abbiamo detto «ancora» perché la capacità di volare viene ritenuta una caratteristica basale dell’evoluzione degli uccelli: quelli che non volano discenderebbero da antenati che erano in grado di farlo. La relazione filogenetica con le martinette sposterebbe quindi l’origine dei moa al Cretaceo (cento milioni di anni fa), prima della separazione definitiva fra Sudamerica e Antartide/Nuova Zelanda.
Le abitudini e il comportamento dei moa sono ancora avvolti nel mistero. Sulla perdita della capacità di volare negli uccelli che vivono sulle isole, esistono due teorie principali. Secondo la teoria più antica, sulle piccole isole sono stati favoriti dalla selezione naturale gli uccelli più sedentari, che tendono a trattenersi sulla loro superficie anziché disperdersi altrove a causa dei venti. Invece, secondo la teoria oggi più accreditata, la perdita del volo sarebbe stata determinata dall’assenza di mammiferi predatori.

La riproduzione poliandrica

La mancanza di questi ultimi e di grossi rettili rende inutile il volo degli uccelli come mezzo di fuga, favorendo la regressione delle ali come vuole la legge della «parsimonia», uno dei meccanismi che regolano l’evoluzione biologica attraverso il risparmio energetico.
I moa erano uccelli principalmente vegetariani che si alimentavano soprattutto di foglie, semi e frutti, con la probabile aggiunta di piccoli animali catturati occasionalmente. I paleontologi si sono accorti che la loro trachea era rinforzata di anelli ossei robusti sicuramente in rapporto all’emissione di suoni. Osservazioni di anatomia comparata fanno pensare che questi uccelli emettessero richiami molto forti come quelli delle gru e delle oche, udibili a lunghe distanze. Ciò farebbe pensare a un comportamento territoriale in cui le emissioni sonore avevano il ruolo di segnalare i confini del territorio stesso.
Ma quale era la struttura sociale dei moa? Uno studio recente sul Dna recuperato dai pori del guscio delle uova fossili ha dimostrato che l’incubazione era svolta esclusivamente dal maschio e che questo aveva dimensioni più piccole rispetto a quelle della femmina. Ciò farebbe pensare a un modello riproduttivo di tipo poliandrico, in cui la femmina difende il territorio, si accoppia con più maschi e lascia a ciascuno di loro il compito di covare le uova che contengono la propria discendenza. Non sappiamo quante uova erano deposte da ogni femmina e quante venivano covate da ciascun maschio. Inoltre, non sappiamo se i moa avessero cure parentali postnatali, cioè se i piccoli venivano protetti e accompagnati a mangiare dal maschio o dalla femmina.
Un altro fenomeno assai strano è che il guscio delle uova dei moa era estremamente sottile, soprattutto nelle specie di grandi dimensioni. Paradossalmente, gli uccelli più grandi che siano mai esistiti sulla Terra producevano uova con il guscio più sottile rispetto a quello di tutte le 3450 specie di uccelli attualmente viventi.