Il 17 settembre 2020 il primo ministro indiano Narendra Modi ha compiuto 70 anni. Nonostante l’India stia vivendo in questi mesi una delle peggiori crisi di sempre, con l’epidemia di Covid-19 fuori controllo, l’economia in caduta libera e violenze indiscriminate contro le minoranze etniche e religiosi sistematicamente rimaste impunite, il sistema dei media nazionali da giorni dedica una copertura minuziosa alle tante e varie felicitazioni provenienti dalla politica e dalla società civile.

È STATO IL BJP, Bharatiya Janata Party, partito di destra a trazione hindu che Modi controlla saldamente dal 2014, a dare la linea per festeggiamenti di carattere nazionale, inaugurando proprio il 17 settembre una settimana di eventi a tema «70». Sezioni locali del partito e gruppi di simpatizzanti si prodigano da giorni in iniziative meritorie dedicate al leader: distribuire 70 arti prostetici per distretto e 70 paia di occhiali per villaggio, piantare 70 alberi, distribuire frutta in 70 ospedali, organizzare 70 ospedali da campo temporanei per donare il sangue.

Non sono mancati exploit individuali che la stampa nazionale, applicando criteri di notiziabilità quantomeno discutibili, ha deciso di coprire con dovizia di dettagli. Le telecamere del Times of India, primo quotidiano per tiratura diventato ormai foglio propagandistico al servizio del Bjp, si sono insinuate tra le corsie di un ospedale di Mangalore (Stato del Karnataka, India meridionale) per immortalare il deputato all’assemblea parlamentare locale Bharath Shetty mentre, ago nel braccio, donava il plasma «per festeggiare il compleanno di Modi».

Mentre scriviamo, il video ha totalizzato meno di 200 visualizzazioni in quattro giorni, indicando chiaramente la distanza tra la necessità di mostrare al pubblico il signor Shetty supino sul letto d’ospedale per 1,30 minuti e quella, ben più concreta, di mostrare compiacenza al leader senza darsi alcun limite, men che meno quello del ridicolo.

L’ANSIA DI TIMBRARE il cartellino in questo esercizio nazionale di ossequi al potente è fenomeno tradizionale della «democratura» indiana. Il Paese, pur vantando la base elettorale più ampia delle democrazie mondiali, sin dal 1947 ha sovente sovrapposto all’emotività della dialettica politica le storture dell’adulazione del leader tipiche dei regimi autoritari.

Negli anni Settanta la prima ministra Indira Gandhi, all’apice del potere, fu paragonata alla divinità femminile hindu Durga, di cui si diceva fosse una manifestazione terrena, un «avatar». Nel 2012, per i funerali di Bal «la Tigre» Thackeray, capo del partito di ultradestra hindu Shiv Sena, i suoi sgherri imposero un lockdown totale alla città di Mumbai, minacciando di morte chi non era d’accordo. Nel 2016, a margine dei funerali di Jayalalithaa, a lungo chief minister del Tamil Nadu, si registrarono centinaia di suicidi tra i suoi sostenitori, distrutti dal dolore di aver perso per sempre «Amma», la madre.

In modo non dissimile, anche il settantenne Modi ha costruito in soli sei anni di premiership un culto della personalità senza eguali nella storia recente indiana, complice un sistema mediatico quasi totalmente prono alle necessità agiografiche del leader. Un’operazione talmente di successo che oggi distinguere la realtà dal mito, a livello popolare, è praticamente impossibile.

Per anni all’elettorato indiano è stata propinata la parabola eccezionale di un giovane e umile venditore di chai (tè speziato) lungo i binari della stazione di Vadnagar (Stato del Gujarat), intriso di spirito di abnegazione e amore per la patria tali da raggiungere la poltrona di primo ministro. Ma secondo quanto riportano gli archivi delle Ferrovie Indiane, i due binari della stazione di Vadnagar furono ultimati nel 1973, quando Modi aveva 23 anni.

C’È POI L’EPISODIO del piccolo Modi che, a 10 anni, raggiungeva a nuoto un tempio nel bel mezzo di un lago. Tragitto che compieva tre volte al giorno e che, una volta, fu impreziosito da una lotta corpo a corpo con un coccodrillo. Scontro che Modi vinse, seppur con otto punti di sutura al piede. La vicenda è riportata fedelmente nella biografia Narendra Modi: The Game Changer, edita poco dopo la vittoria elettorale del 2014.

E ancora, quella volta che Modi, durante un comizio in Uttar Pradesh, galvanizzò la folla sfidando gli avversari elettorali a vedersela con lui e con la sua circonferenza del petto di «56 pollici»; il petto di Arnold Schwarzenegger, ai tempi di Mr. Universo, ne misurava 58.

QUESTA ANEDDOTICA dell’eccezione, canovaccio caro a millenni di letteratura religiosa mono e politeista, ha riempito nell’immaginario collettivo tutti quei vuoti biografici che tutt’ora sussistono nell’identikit ufficiale di Narendra Modi.

Buchi di una sceneggiatura che glissa ad esempio sul matrimonio combinato all’età di 18 anni con Jashodaben, abbandonata a Vadnagar dopo tre anni per «viaggiare per l’Himalaya» e mai ufficialmente divorziata. Secondo il volume Narendra Modi: The Man. The Times pubblicato nel 2013 e firmato dal giornalista Nilanjan Mukhopadhyay, il matrimonio – mai consumato – tra Modi e Jashobaden rimase a lungo segreto per permettere al futuro primo ministro di fare carriera all’interno della Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss). Organizzazione paramilitare ultrahindu in cui Modi militò sin dall’età di otto anni e di cui divenne pracharak: militante a tempo pieno votato alla castità.

PIÙ CHE IL PUNTO DI ARRIVO di un’esistenza predestinata all’opera messianica di salvatore dell’India, Modi rappresenta il successo del progetto politico intollerante e suprematista dell’Rss: guadagnare il vertice del potere repubblicano per trasformare l’India in un hindu rashtra, una nazione degli hindu, per gli hindu, governata da hindu, dove gli altri non sono benvenuti.

Ecco allora cosa ci racconta la mitopoiesi modiana. Un Paese che festeggia i 70 anni dell’amato leader sulle macerie di un’India stremata, sfigurata e vilipesa. Ma, chissà per quanto, ancora non sconfitta.