Si finisce con un applauso: per acclamazione l’assemblea dei parlamentari riuniti dà il via libera ai capogruppo Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva a incontrare una delegazione del Pd.

In pochi esprimono perplessità, e Paola Taverna abbandona l’assemblea, ma la giornata che sancisce l’ok ufficiale dei grillini alla trattativa per la formazione del governo contiene numerose tensioni interne al Movimento 5 Stelle e alcuni regolamenti di conti che lasceranno strascichi. Pare il minimo in mezzo a un’inversione a u della linea politica e della rottura di uno dei tabù che Gianroberto Casaleggio fissò alle origini di questa storia, al debutto del M5S in parlamento: «Mai col Pd».

«Ci hanno votato per cambiare l’Italia non per cambiare noi stessi», dice Luigi Di Maio all’uscita dell’incontro con Sergio Mattarella per le consultazioni. Ma sa benissimo che è inevitabile che il M5S sia destinato a trasformarsi insieme alla fase politica che sta per cominciare, qualsiasi essa sia.

[do action=”quote” autore=” «fonti M5S»”]La nostra posizione ufficiale arriverà dopo le consultazioni. Il dialogo con il Pd deve proseguire senza che le «minoranze interne» possano farlo saltare[/do]

Così, il «capo politico» dal Quirinale si precipita all’assemblea dei parlamentari. È la terza in tre giorni, e già questo la dice lunga su come sia cambiata la struttura del M5S. L’altra novità è che Di Maio non viene criticato da quelli, pochi ma attivi e decisamente con il vento in poppa, che in questi 14 mesi di governo si erano esposti per contestare i troppi cedimenti alla Lega.

Ha accettato di esplorare un’intesa col Pd e ha dovuto accogliere la richiesta di porre un freno alla propria autorità assoluta e tanto è bastato per siglare una sorta di tregua interna con loro e con la maggioranza dei parlamentari, che vuole proseguire la legislatura e provare a continuare con un’altra maggioranza e che lo ha accolto con un applauso alla riunione serale.

A mettere i bastoni tra le ruote del leader e delle manovre complicate e complesse di avvicinamento al Pd, però, secondo molti ci sono alcuni dei membri del governo che in questi mesi a Di Maio erano stati più vicini.

Esponenti della stagione gialloverde che non vogliono farsi da parte e che vorrebbero giocarsi il tutto per tutto in un avvicinamento con la Lega. È a loro che Matteo Salvini e diversi altri leghisti farebbero riferimento quando parlano di «telefonate con grillini in sofferenza» e quando parlano, un po’ alla disperata, di «spiragli lasciati aperti».

[do action=”quote” autore=”Manlio Di Stefano”]Non ci facciamo dettare le regole dal Pd che ha quasi la metà dei nostri voti. Invito tutti i partiti a non mostrare i muscoli, perché noi ne abbiamo più di loro[/do]

Quando il dialogo con il Pd è sembrato farsi complicato a causa dell’accavallarsi di veti e dell’incremento di paletti che Nicola Zingaretti e i suoi vorrebbero mettere alla nuova maggioranza in nome della «discontinuità», le serpi in seno all’ormai rottamato inner circle di Di Maio hanno amplificato le difficoltà ed evocato una clamorosa marcia indietro in favore della Lega. Riccardo Fraccaro sottolinea l’esigenza di approvare la riforma del taglio dei parlamentari. Il sottosegretario agli esteri Manlio Di Stefano attacca: «Non ci faremo dettare la linea da un partito che ha la metà dei seggi del M5S» (parla del Pd, non della Lega). Poi, di fronte alla richiesta di cancellare i decreti sicurezza Di Stefano rivendicato l’efficacia della «difesa dei confini» portata avanti da Salvini al Viminale. Un senatore di peso come Gianluigi Paragone, invece, polemizza con la «solita spocchia» e accusa il Pd di avere «impoverito il ceto medio».

Dalla comunicazione del M5S deve partire uno dei soliti dispacci, a metà tra la nota informale e l’indiscrezione, per biasimare chi nei partiti coinvolti nelle trattative per il nuovo governo sta provando a far saltare tutto. «La nostra posizione ufficiale arriverà solo al termine delle consultazioni», è la replica stizzita che annuncia i dieci punti che faranno da base programmatica nelle trattative. E poi, ancora più nettamente: «Il dialogo con il Pd deve proseguire senza che le minoranze interne possano farlo saltare». Da qui si arriva al finale non scontato fino a pochissimi giorni fa, all’approvazione serale in assemblea della chiusura definitiva di ogni canale con la Lega.

Sono le parole che dal Quirinale attendono per dare una svolta alle consultazioni e per aprire la strada a quelle che Mattarella definisce «decisioni sollecite».