Cina, ottocento anni fa. La piazza di un paese nel giorno di mercato. Una compagnia di teatranti trova spazio tra i banchi e comincia a raccontare. Racconta di un processo per omicidio e di un giudice che dopo aver ricostruito il caso, portato prove schiaccianti, smontato false testimonianze, inchioda l’accusato e ne ottiene la confessione. Il giudice di distretto è il protagonista dei 144 episodi che compongono i Casi paralleli sotto l’albero del pero, XIII secolo, storie di crimini trasportati dall’oralità alla carta e progenitrici del romanzo giallo in Cina. Tre giudici di distretto realmente esistiti ispirarono numerose antologie narrative. Il Giudice Pao altri non era se non Pao Chen (999 – 1062), statista del periodo Sung, che risolse molti delitti facendo leva sulla superstizione popolare. I suoi agenti, travestiti da fantasmi delle vittime, comparivano di notte ai sospettati e li terrorizzavano fino a farli crollare. Li Bengheng, importante mandarino del XIX secolo, si oppose alle potenze straniere durante la rivolta dei Boxer (1899 – 1901). Sconfitto in battaglia, scelse il suicidio.

Xihong, pseudonimo di un autore rimasto ignoto, gli rese omaggio con Gli strani casi del Giudice Li. Ti Jen Chieh, nato nel 630 a.C., coronò una brillante carriera divenendo Ministro di Corte dell’imperatrice Wu, dinastia Tang. È il giudice Dee dei sedici romanzi a firma dell’olandese Robert van Gulik (1910 – 1967), diplomatico e grande sinologo vissuto a lungo in Asia, considerato lo scopritore del giallo orientale.

Dunque, un po’paradossalmente, il viaggio non solo nel giallo, ma anche nel noir che dalla Cina, da Hong Kong, da Taiwan, è approdato in Italia e sta conoscendo popolarità crescente, deve iniziare con un autore occidentale. Il perché lo spiega Maurizio Gatti di ObarraO, che ha pubblicato tutti i Casi del Giudice Dee «Van Gulik studiò in profondità la figura di questo magistrato, la Cina imperiale dove egli svolse i suoi compiti, l’etica confuciana alla base delle sue sentenze; andò alla ricerca delle fonti storiche della tradizione letteraria di quel periodo». Ribaltò però un meccanismo fondamentale «È vero. Ogni giallo cinese antico comincia con il lungo elenco di protagonisti e comprimari, cui segue immediatamente il nome del colpevole. Van Gulik scelse di rivelarlo solo alla fine, assecondando così i gusti del lettore di gialli europeo». Scrive Paolo Maganin, ricercatore presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, nel saggio Dieci anni di letteratura cinese in Italia, «Va ricordato il posto occupato, nel panorama editoriale italiano, dalle varie articolazioni della crime fiction prodotta nella sinosfera estesa… Gli ultimi anni hanno registrato un aumento dell’attenzione di alcuni editori verso questa forma letteraria che in Italia… ancor più che in Cina, può contare su solide basi commerciali e di pubblico. E ciò può accadere benché la crime fiction cinese presenti sostanziali differenze in termini di ritmo narrativo e costruzione della suspense, rispetto a quella cui è abituato il pubblico italiano. Va fatto notare che in molti casi l’etichetta stessa di ‘giallo’ o ‘noir’ ha generato malintesi… ma questo ha indirettamente aiutato la diffusione di alcuni romanzi o autori. Emblematico il caso di A Yi».

Metropoli d’Asia è l’editore di A Yi. Prima di lasciare al fondatore Andrea Berrini il compito di chiarire quanto Magagnin afferma, vale sottolineare che alcuni tra gli autori, A Yi per primo, ex poliziotto, provengono dall’ambito giudiziario. Maj Jia, suo Il fatale talento del signor Rong, Marsilio, spy story e saga familiare insieme, ha lavorato per i servizi segreti; He Jiahong, cui si deve La donna pazza, Mursia, ambientato nella miseria delle campagne dello Heilongjiang, è un criminologo. La scrittrice Feng Hua, classe 1972, ha abbandonato la carriera militare e scritto finora diciannove tra gialli e thriller. Dal suo thriller di esordio, Come un’ombra che mi segue, Harpo Editore, è stata ricavata una serie televisiva.

Berrini: concorda con Magagnin a proposito di A Yi? «Sì. Tant’è che non ho scelto di pubblicare il suo E adesso? perché fosse un noir. Mi avevano segnalato A Yi come il migliore degli scrittori quarantenni. L’ho letto e mi sono reso subito conto di trovarmi di fronte a un autore capace di dare degli spaccati forti di questa cattivissima società cinese, fatta di personaggi un po’ tremendi o comunque privi di caratteristiche positive, dove le relazioni umane sono piuttosto complicate. E adesso? è un noir molto particolare, anzitutto basato su una vicenda autentica. Nella trama, poi, non c’è la ricerca dell’assassino, ma, al contrario, un assassino che compie un gesto efferato e fugge per farsi rincorrere. Siamo quindi fuori dal main stream del noir classico».

In tale categoria rientra un altro titolo di Metropoli d’Asia, Duplice delitto a Hong Kong, di Chan Ho Key, giovane informatico, editor di fumetti e sceneggiatore. L’ispettore Hui Yau Yat si risveglia in auto con i postumi di una sbronza presa la sera prima. O almeno così lui crede. Tornando in ufficio, scopre invece che sono passati sei anni da quando stava indagando su un omicidio secondo lui solo in apparenza risolto.

Chan Ho Key appartiene al novero di scrittori che, seguendo il filo conduttore del crimine, ne fanno un tramite per narrare, di una metropoli, la dimensione fisica e l’umanità che la abita, le tracce superstiti del passato; la vita quotidiana con il suo corredo di nevrosi, distonie, abitudini, paradossi. Succede in L’ombra del pozzo, di Chi Wei Jan, Marsilio, ambientato a Taipei. Qui un professore e drammaturgo fallito decide di avviarsi alla carriera di investigatore privato mettendosi sulle tracce di un serial killer.

L’eccesso di zelo lo trasformerà nel sospettato numero uno. Succede in Intrigo a Shangai, Sellerio Editore, di Xiao Bai, coetaneo di A Yi, ambientato negli anni ’30 del Novecento, quando la città era definita ‘Il paradiso degli avventurieri’. Attentati politici, traffici sporchi, corruzione, cospirazioni, doppiogiochisti intrecciano noir e spionaggio dentro una Shangai avviata sul viale del tramonto del colonialismo. Tale intreccio si ripropone magistralmente nelle pagine di A modo nostro, di Chen He, di nuovo tradotto da Sellerio. Ma in questo caso sono gli occhi di un autista di Wenzhou, sud della Cina, chiamato a Parigi per riconoscere il corpo della ex moglie finita fuori strada in stato di ebbrezza, che guardano l’Europa.

Richiamare il saggio di Paolo Magagnin serve a introdurre l’autore di noir a noi senza dubbio più noto «In Italia, la strada… è stata spianata dal grande successo della serie di Qiu Xiaolong, giallista sino-americano che scrive in inglese». Lungamente messo al bando dal governo per essersi schierato con gli studenti di piazza Tian’an Men, Qiu è il padre letterario dell’integerrimo ispettore Chen. Attraverso le inchieste di Chen, pubblicate da Marsilio, Qiu si è fatto narratore della corruzione che regna all’interno del partito, delle lotte di potere condotte con crudele astuzia dai suoi funzionari; della Shangai dei vicoli, delle trattorie popolari, dell’amicizia, della saggezza dei vecchi. Due mondi paralleli descritti con l’amarezza e la nostalgia di chi è stato costretto all’esilio.