Scriviamo da un anno che siamo orfani degli spettacoli dal vivo. Prima di ogni altro è orfano chi gli spettacoli li realizza. Ma chi li realizza è prima di tutto orfano del pubblico che gli spettacoli vede e paga. Chiuso qui il cerchio, il presente che viviamo è quello di un’elaborazione del lutto che, dopo le fasi della negazione e della rabbia, si è fermata tra la fase della contrattazione e quella della depressione. La fase dell’accettazione, che sblocca l’energia per elaborare nuovi piani di vita, non è ancora arrivata. I teatri lirici continuano a «contrattare» con se stessi e col pubblico la loro chiusura mettendo in piedi produzioni in perdita diffuse gratuitamente in tv e sul web solo per testimoniare di esistere ancora, vittime anch’essi del luogo comune secondo cui, «siccome la cultura è voluttuaria e siccome la gente ha esigenze più serie, figuriamoci se sarebbe disposta a pagare».

COSÌ IL PRESENTE dello streaming viene tollerato in attesa di un futuro in cui tutto tornerà come nel passato. Ammessi straordinariamente in teatro, i giornalisti recensiscono più il loro privilegio che gli spettacoli, perché ciò di cui scrivono non è ciò che vede il pubblico, mediato dalla regia tv/streaming, che lo frantuma, lo seleziona, lo monta, sublimandolo sugli schermi. Perciò chi scrive su queste pagine, ha deciso tempo fa di recensire solo quello che il pubblico vede. Come lo scorso 20 febbraio, quando Rai5 e RaiPlay hanno trasmesso dalla Scala Salome di Richard Strauss, diretta da Riccardo Chailly, con la regia di Damiano Michieletto (ancora disponibile su Raiplay): uno spettacolo che avrebbe dovuto andare in scena un anno fa, ibernato a causa della pandemia.

SUBENTRATO a Zubin Mehta, Chailly ha diretto cavando dalla partitura i suoi mille colori e registrando ogni piccolo o grande sisma tonale, aiutato da un cast superbo, in cui spicca Elena Stikhina al debutto scaligero, che dà corpo e voce a una Salome abbagliante, assieme a Gerhard Siegel (Herodes), Linda Watson (Herodias) e Wolfgang Koch, grottesco nel ruolo di Jochanaan, specie di angelo liberty dalla cui bellezza e gioventù Salome è attratta (in tv la differenza «si vede»!). Come già nel Rigoletto estivo di Roma, Michieletto conferma la sua idea oblativa di regia e legge il testo esplorandone gli interstizi, auscultandone i silenzi, cercando di riportare alla luce gli elementi rimossi della vicenda, quelli che Oscar Wilde avrebbe evidenziato se avesse potuto leggere Freud, con il quale Strauss farà i conti di lì a poco insieme a Hofmannsthal: la sessualità, il parricidio, l’incesto, la pulsione di morte.
Coagulati in singolari reminiscenze shakespeariane, questi temi si solidificano nelle scene mozzafiato di Paolo Fantin, che, grazie anche all’ottima regia televisiva di Arnalda Canali, creano uno spazio plurimo in cui la dialettica alto/basso e davanti/dietro riproduce la topografia di una psiche, fino al finale in cui l’oscurità dell’inconscio dal basso stritola irrevocabilmente ogni barlume di coscienza.