Un tribunale speciale creato dalla giunta golpista birmana nella capitale Naypyidaw ha condannato ieri mattina la Consigliera di Stato Daw Aung San Suu Kyi ad altri 4 anni di reclusione in tre casi aperti contro di lei.

Fonti vicine al tribunale hanno specificato al magazine dell’opposizione Irrawaddy che le condanne comprendono due anni di reclusione per l’importazione illegale di walkie-talkie (ai sensi della legge sull’import-export), un anno per il possesso di questi dispositivi (legge sulle telecomunicazioni) e due anni per un’accusa che riguarda la violazione di norme Covid-19 (legge sulla gestione delle catastrofi naturali). I suoi legali non possono comunicare con la stampa.

SE C’ERANO DUBBI sul fatto che la cowboy diplomacy dell’autoproclamatosi mediatore Hun Sem, premier della Cambogia recatosi a Naypyidaw venerdì scorso, non avesse partorito nemmeno un topolino, la sentenza di ieri – a lungo posposta – dimostra proprio che la giunta non intende arretrare di un passo. Continuando a negare a chiunque di incontrare la Lady, come qualsiasi altro rappresentante di rango dell’ex governo, anche il modo in cui viene condotta la farsa legale non fa che dimostrare che i golpisti del 1 febbraio tengono il punto. È così ed è così.

CON COLPI DI TEATRO CALCOLATI, le sessioni del tribunale speciale si snocciolano con lentezza inesorabile (è apparsa in corte la prima volta il 24 maggio scorso) e con condanne scontate: il 6 dicembre è stata comminata la prima a quattro anni di reclusione con l’accusa di sedizione e violazione delle restrizioni per il Covid. Poi, lo stesso giorno, il generale Min Aung Hlaing, il capo della giunta, le aveva magnanimamente graziato due anni. Ora le mancano ancora almeno altre sette accuse cui rispondere, tra cui corruzione e violazione del segreto di Stato, accusa quest’ultima particolarmente grave. La Lady, che il prossimo 19 giugno compirà 77 anni, rischia pertanto di rimanere in carcere a vita anche se le verrà risparmiato l’ergastolo.

Le reazioni non si sono fatte attendere: Amnesty International ha dichiarato che le nuove condanne sono «l’ultimo atto di un processo farsa» mentre Phil Robertson, vicedirettore per l’Asia di Human Rights Watch, ha detto che «il circo di procedimenti segreti della giunta birmana con accuse fasulle consiste nell’accumulare costantemente più condanne… in modo che rimanga in prigione a tempo indeterminato».

ANCHE A OSLO il Comitato norvegese per il Nobel (che nel 1991 le ha assegnato quello per la pace) ha denunciato le nuove condanne contro Suu Kyi. Nessuno dubita sul fatto che si tratti di un processo costruito che in realtà non fa che aumentare il prestigio della Lady (offuscatosi per la vicenda rohingya) che gode della larghissima solidarietà del suo popolo. Un popolo in guerra.

Una guerra che procede quotidianamente con un bilancio che, a lunedì, era di 1459 civili uccisi e oltre 8.500 arresti. Cifre probabilmente per difetto e comunque vittime anche di una guerra delle parole: secondo il ministero dell’Interno ombra del Governo di unità nazionale (Nug-clandestino) andrebbero aggiunti agli uccisi almeno 2.380 militari e 600 feriti solo durante l’ultimo mese mentre a novembre i soldati uccisi sarebbero stati 2.117 in centinaia di incidenti. Secondo la giunta, che numeri non ne fa per ovvi motivi, gli incidenti di novembre sarebbero stati solo …22.