«Ci riuniremo stasera (ieri) per fare il punto delle iniziative di protesta attuate sino a oggi e della reazione delle autorità. Giovedì (26 dicembre) faremo una assemblea a Tel Aviv, tutti insieme, migranti e attivisti, per decidere le prossime mosse», spiega al manifesto Tamar Aviyah, una degli attivisti che appoggiano la battaglia di sudanesi ed eritrei contro la politica del governo Netanyahu verso i migranti africani e i richiedenti asilo politico.
La manifestazione a Tel Aviv ha avuto successo (http://www.youtube.com/watch?v=aHBNXs1AheA). Erano in migliaia sabato scorso nelle strade della principale città israeliana a dire di «no» alle misure – a cominciare dalla detenzione mascherata nel centro di Holot, nel deserto del Neghev – decise dal governo contro quelli che sono descritti come “infiltrati”. Assieme ai dimostranti c’erano anche sue deputati del Meretz (sinistra sionista). Qualche giorno prima 150 migranti avevano tenuto un sit-it davanti alla Knesset, al termine della “Marcia su Gerusalemme”. La risposta del premier non si è fatta attendere: «Noi faremo rispettare la legge, se (i migranti) non pensano di non rispettarla, allora possono far ritorno ai loro Paesi», ha tuonato Netanyahu. E non si è fatta attendere anche la reazione dei reparti anti-immigrazione del ministero dell’interno e della polizia. «E’ caccia aperta agli africani che non sono rientrati a Holot (dopo la manifestazione di sabato). Chi è sorpreso in strada viene immediatamente arrestato e ora la polizia usa il pugno di ferro contro le proteste pubbliche», avverte Aviyah.
Da parte sua il ministro degli interni, Gideon Saar, teorico delle modifiche alla legge anti-immigrazione che hanno scatenato le proteste, punta l’indice contro i centri per i diritti umani che stanno aiutando i migranti. «Queste persone – ha dichiarato Saar – hanno istigato, provocato e spinto gli ‘infiltrati’ a violare la legge che la Knesset ha promulgato…Si tratta di persone che diffondono bugie e infamano lo Stato d’Israele. Hanno disturbato le forze dell’ordine che stavano compiendo il loro lavoro, li hanno chiamati nazisti».
Secondo il governo, il 95% dei migranti è costituito da “clandestini” e solo il 5% avrebbe diritto all’asilo politico. Fatto sta che anche parte di questo 5% viene tenuto in detenzione a Saharonim, sempre nel Neghev. E il numero dei detenuti è destinato ad aumentare dopo la «violazione della legge» che prevede tre mesi carcere per chi, uscito da Holot, non vi abbia fatto ritorno entro 48 ore.
Israele ha costruito una barriera lungo la frontiera con l’Egitto riducendo a un numero irrisorio le “infiltrazioni” dal Sinai di sudanesi ed eritrei. Ai migranti che decidono di lasciare «volontariamente» il Paese è offerto anche un incentivo economico.