All’Istituto nazionale per le malattie infettive «Lazzaro Spallanzani» quando si parla di vaccini si tifa Russia. «L’approccio più efficace, come già dimostrato in diversi studi, è una dose di richiamo eterologa sperimentata nella vaccinazione contro il Covid-19 con il vaccino Sputnik V». È quanto scrivono chiaro e tondo in uno studio pubblicato sul sito medrxiv e non ancora valutato da una rivista. Secondo la loro ricerca, due dosi del vaccino Sputnik V generano più anticorpi contro la variante Omicron di due dosi Pfizer. Lo studio però solleva più di un dubbio e un conflitto di interesse. I dati si basano su sole 31 persone vaccinate con Sputnik V e 17 con il vaccino Pfizer, senza conoscerne lo stato clinico e dunque difficilmente confrontabili. Inoltre, oltre che dallo Spallanzani lo studio è firmato dagli scienziati dell’Istituto Gamaleya di Mosca, che hanno messo a punto lo Sputnik V e ne detengono i brevetti. Non esattamente giudici imparziali.

Il tifo per Sputnik dello Spallanzani fa a pugni con la realtà. Nella repubblica di San Marino, interamente vaccinata col vaccino del Gamaleya, oggi l’incidenza virale è tra le più elevate al mondo: quasi 3.300 casi settimanali per centomila abitanti, contro i 2000 dell’Italia. La mortalità a San Marino è una volta e mezzo quella italiana. Dati che allo Spallanzani dovrebbero conoscere, visto che quasi un anno fa lo Spallanzani aveva avviato uno studio sulla popolazione sanmarinese. Ma a oggi di quello studio non c’è traccia.

Insieme al direttore generale Francesco Vaia, l’assessore alla salute del Lazio Alessio D’Amato aveva persino sondato la possibilità di produrre lo Sputnik nel Lazio. Un connubio strano, il loro: a Vaia e ai suoi guai giudiziari, proprio D’Amato nel 2008 aveva dedicato un capitolo intitolato «La breve fuga di Franceschiello» del suo libro-inchiesta Lady Asl. Ma Sputnik ha il potere di mettere d’accordo nemici giurati: anche Salvini, all’estremo opposto dell’ex-rifondarolo D’Amato, sognava di portare il vaccino russo in Italia. Un interesse che sa molto di politica e poco di scienza: in un anno, lo Sputnik V non è riuscito a ottenere l’autorizzazione né dall’Ema né dall’Oms, impresa riuscita a vaccini statunitensi, cinesi e indiani.

Allo Spallanzani, già in prima linea contro Hiv, Ebola e Covid, oggi però la scienza conta meno della politica e della ribalta mediatica offerta dalla pandemia. Il risultato è la fuga dei cervelli: sotto la gestione Vaia tanti ricercatori hanno preferito portare altrove le loro competenze. Hanno lasciato lo Spallanzani clinici e microbiologi di prim’ordine come Maria Capobianchi e Concetta Castilletti – gli «angeli» che avevano isolato il coronavirus – il capo dipartimento clinico Nicola Petrosillo e il direttore della microbiologia Antonino Di Caro. Ma soprattutto ha lasciato il direttore scientifico Giuseppe Ippolito, che aveva fatto dello Spallanzani un centro di eccellenza mondiale. Oggi lavorano tutti altrove e lo Spallanzani è rimasto senz’anima. La pandemia del potere si è portata via anche quella.