Nel 1895 la stella era lei: Pierina Legnani, un’italiana che furoreggiava all’epoca dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo. Il balletto era un titolo destinato a diventare un hit eterno: Il lago dei cigni, musica piena di lacrime e bellezza di Ciaikovskij, coreografia del padre dei maître, Marius Petipa. Pierina, con la sua duplice interpretazione del doppio ruolo del cigno, il bianco e il nero, aveva trionfato svettando in quei grintosi 32 fouettés che diverranno il marchio di fabbrica del balletto. Le italiane sulle punte piacevano da decenni: con le scarpette di Maria Taglioni, in Russia si ideò il piatto forte di un banchetto, Carlotta Brianza fu a San Pietroburgo la prima Bella Addormentata della storia, Virginia Zucchi era chiamata «la divina».

Tra la Russia e l’Europa la passione per i reciprochi artisti non si è mai assopita. Negli anni della guerra fredda, Rudolf Nureyev divenne la star del balletto più conosciuta in Occidente, lo chiamavano il tartaro volante, veniva da Ufa e divenne famoso come i Beatles.

Ma torniamo ai cigni. Se Pierina Legnani, che era uscita dalla Scuola della Scala, era in Russia l’italiana doc di fine Ottocento, negli ultimi anni a Milano ad avere i ruoli chiave del balletto scaligero sono in primis le russe. L’unica étoile della Scala è ucraina ed è Svetlana Zakharova; a luglio a danzare alla prima del Lago dei cigni, nella versione Nureyev, è stata la seducente ospite Natalia Osipova, in coppia con Claudio Coviello, commovente partnership per un giovane in brillante ascesa, nominato primo ballerino dal direttore russo del Ballo scaligero, Makhar Vaziev.

Nata a Mosca, Osipova è cresciuta a pane e balletto. Ha danzato al Bolshoi, al Teatro Mikhailovskij di San Pietroburgo, all’American Ballet Theatre di New York, dalla prossima stagione sarà principal dancer al Royal Ballet di Londra, città nella quale fino al 17 agosto il Bolshoi è in tournée. La preparazione del corpo di ballo pare sempre ineccepibile a giudicare dalla recensione sull’Indipendent. Ma è cronaca nota che dietro i fasti della scena sono molti i drammi che gravano sulla compagnia moscovita: l’acido gettato in faccia pochi mesi fa all’ex direttore del ballo (vedi box), Sergej Filin, l’attesa per il processo al ballerino Pavel Dmitrichenko, che in un primo momento si era autoaccusato di essere il mandante dell’attentato a Filin, anche se si sospettano ben altri intrighi di potere, i contrasti interni con il ballerino Nikolai Tsiskaridze, da giugno mandato via dal teatro, la sostituzione del direttore generale del Bolshoi, Anatoly Iksanov, accusato di aver gestito assai male i soldi destinati alla ristrutturazione del Bolshoi, con Vladimir Urin, ex direttore del teatro musicale Stanislavskij e Nemirovich-Dancenko.

«Di Filin e di tutto quel che è accaduto non si parla – racconta Anna Maria Prina, ex direttrice della Scuola di Ballo della Scala che al teatro moscovita studiò e ballò nei primi anni Sessanta, rientrata pochi giorni fa da una visita al Bolshoi. Sull’argomento è come fosse caduto un velo. Si preferisce sorvolare, anche se la situazione è complicata. Come se non bastasse c’è stata la tragedia del violinista caduto dalla buca dell’orchestra e morto. Di Urin, che ho incontrato, si parla bene, allo Stanislavskij ha fatto un ottimo lavoro, ma il Bolshoi è più impegnativo. Urin ha dichiarato di non essere un rivoluzionario. È cauto, vuole conoscere la compagnia e il teatro, all’ombra tuttavia di una dichiarazione allarmante: al Bolshoi molti ballerini hanno la malattia della star».

Intanto in assenza di Filin, la direzione del ballo è nelle mani ad interim della prima ballerina Galina Stepanenko. «Ho visto la compagnia nell’Onegin di Cranko – prosegue Prina -. Il corpo di ballo è in ottima forma, più dei protagonisti principali che avrei voluto più espressivi.
Svetlana Zakharova, annunciata, non ha danzato; dietro le quinte c’è poca felicità: l’attacco a Filin, con quello che è stato detto sulle motivazioni che lo avrebbero causato (il non aver dato il ruolo protagonista del Lago dei cigni alla compagna di Dmitrichenko, Anzhelina Vorontsova, ndr), ha portato alla luce il problema dell’assegnazione dei ruoli, che non dovrebbero mai essere pensati da nessuno come «dovuti», ma legati al merito».

La facciata è comunque scintillante: «». Le cose, sottolinea Anna Maria Prina, sono cambiate assai del resto anche fuori dalle porte del teatro. «Degli anni Sessanta, quando la Scala mandò me e alcune mie compagne al Bolshoi, ricordo con precisione l’atmosfera che mi incantò. La mia Mosca aveva tre luoghi magici: la Piazza Rossa, la piazza del Bolshoi, la piazza del Maneggio. Quest’ultima ha una forma ovale, ai tempi era completamente vuota, guardandola si aveva la percezione di sentire l’infinito. Oggi sotto la piazza è stato costruito un centro commerciale, sopra è piena di bar e di negozi. Mosca è diventata come New York e qualsiasi altra metropoli. Qui ci sono tutte le grandi firme della moda, Dior, Chanel, negozi vuoti e estremamente lussuosi frequentati solo dai russi ricchissimi, grattacieli, auto a tutte le ore. E pur girando non sono riuscita a ritrovare uno di quei fantastici negozietti russi con gli oggetti d’ambra, gli argenti, le preziose matrioske. È un altro mondo».[do action=”citazione”]il teatro, che dopo la Scala, considero il secondo palcoscenico al mondo, è meraviglioso. Certo non c’è più il sipario dei miei tempi, con falce e martello, c’è molto più oro, è un’altra epoca[/do]